
L’ex premier Mario Draghi, 77 anni, arriva in Senato per presentare il suo rapporto sulla competitività
A dare il segno del ritorno e dell’approccio di Mario Draghi, in quel Senato dove vide cadere il suo governo, è, alla fine di una attesa audizione davanti a un parterre delle grandi occasioni di ben tre commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama, sono le sue parole conclusive: "Sentite, io vedo che voi guardate l’orologio. Vi ringrazio molto per l’attenzione, grazie". Un secco commiato che lascia abbastanza interdetti i parlamentari, ma che la dice lunga sui tempi ruvidi che attraversiamo. E, d’altra parte, andando oltre la forma, l’ex premier non le manda a dire sulla sostanza del momento e sul che fare: "Non c’è quasi più tempo, la sicurezza degli europei è messa in dubbio dal disimpegno di Trump proprio quando la Russia ha dimostrato di essere una minaccia concreta". Sarà "inevitabile", dunque, dotarsi di una difesa comune e superare il meccanismo dell’unanimità fra Paesi Ue.
I rappresentanti delle forze politiche di maggioranza e opposizione restano in silenzio o si limitano a considerazioni di favore più o meno di circostanza. La Lega, invece, non ci sta. "Evidentemente – si legge in un post – non conosce le periferie delle città italiane, dove il problema non è Trump ma i troppi clandestini che l’Europa ha fatto entrare in casa nostra". Mentre il senatore Claudio Borghi rincara: "L’idea che mio figlio vada in campo di battaglia per una guerra decisa da Macron non è la prima delle mie aspirazioni".
Certo è che l’ex presidente della Bce non è andato in Parlamento per cercare facili consensi. L’occasione, a poche ore dal colloquio Trump-Putin e dall’intervento della premier Giorgia Meloni, è l’audizione sul suo piano per la competitività europea. Un piano rispetto al quale Draghi vede tre grandi nodi da sciogliere che riguardano il costo elevato dell’energia, l’eccessiva regolamentazione e gli ostacoli alla politica dell’innovazione. Tre macigni che sono all’origine di molti mali e di molteplici freni che, non a caso, finiscono per incidere sul costante e ingente deflusso di risparmio privato dall’Unione europea per circa 500 miliardi di euro. Ma c’è una frecciata sulle politiche energetiche italiane: con le bollette fra le più alte in Europa "non possiamo unicamente aspettare le riforme a livello europeo".
Il punto, però, è che quello che è accaduto in questi mesi ha finito per determinare una drastica accelerazione dell’esigenza di agire. Per Draghi gli indirizzi di Trump "hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile": gli Usa, votando con la Russia, hanno lasciato sola l’Europa all’Onu sulla risoluzione a difesa dell’Ucraina. I "valori costituenti" dell’Europa sono "posti in discussione". L’ordine internazionale e commerciale su cui l’Ue ha prosperato è "sconvolto dalle politiche protezionistiche" degli Usa. Da qui la spinta verso la difesa comune che "è un passaggio obbligato" – spiega l’ex premier considerato tradizionalmente vicino a Washington – con "una catena di comando" europea che "coordini eserciti eterogenei" e "sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale". Con un sistema di approvvigionamento di armamenti, munizioni, infrastrutture – 110 miliardi nel 2023 – che va centralizzato superando un frazionamento nazionale "deleterio" che ci rende meri clienti degli Usa. A queste condizioni, invertendo la rotta, non potrà non esserci una ricaduta positiva sull’industria europea.
"Certo" ci sarà una perdita di sovranità nazionale a vantaggio di una sovranità condivisa, insiste Draghi rifacendosi alle parole di Ciampi sulla autonomia monetaria che era già persa dall’Italia prima dell’ingresso nell’euro. E certo gli 800 miliardi del Piano ReArm Eu potrebbero non bastare, tant’è che vanno considerati anche i privati. Non solo. nelle parole di Draghi ci sono anche alcuni assist alla politica italiana: il ricorso al debito comune "unica strada" per tenere insieme Paesi con un elevato margine di bilancio e Paesi molto indebitati come l’Italia. La cautela sulle ritorsioni commerciali che, in un’Europa trainata dall’export, rischiano di creare "anche un danno a noi stessi". Parole che vanno nella direzione che di lì a a poco traccerà Meloni nel suo discorso. A conferma di un feeling che in fondo non è mai venuto meno.