Domenica 22 Dicembre 2024
REDAZIONE POLITICA

Diritti civili, l'Italia al palo

Ddl fermo da due anni. Il governo: sarà approvato dopo le regionali

Sofia Ventura

«IL MATRIMONIO può essere contratto per legge da due persone, senza distinzione di sesso». Il 62% degli irlandesi ha approvato questo emendamento alla Costituzione. Il riconoscimento legale della coppia omosessuale diventa possibile non con una normativa ad hoc, ma eliminando una barriera: senza distinzione di sesso. Vengono alla mente le parole di Luis Zapatero quando nel 2005 sottomise all’approvazione della Camera il progetto governativo per estendere il diritto di contrarre matrimonio a persone dello stesso sesso. Non siamo i primi e altri paesi verranno dopo di noi, affermò, «sospinti da due forze irrefrenabili: la libertà e l’eguaglianza». Un piccolo cambiamento (in quel caso al Codice Civile), l’eliminazione di una discriminazione. In Europa sono numerosi i Paesi che riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso: Belgio, Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia.

IN ITALIA, ancora privi anche solo di una qualche forma di riconoscimento delle unioni civili, forse ci stiamo avvicinando a un primo parziale traguardo. Renzi sembra stia accelerando sull’approvazione di un disegno di legge depositato ormai più di due anni fa e che prevede la possibilità di un’unione legalizzata tra persone dello stesso sesso.

Il tema non ha mai dominato la narrazione renziana. Utilizzato alcune volte ai tempi delle primarie, è stato poi ripreso saltuariamente nella forma consueta degli «annunci». Il primo quando Renzi si preparava a sfidare Bersani, appunto: nei primi 100 giorni del suo governo la questione sarebbe stata risolta. Poi dopo circa 150 giorni di governo, era il luglio 2014, fece sapere che il ddl Cirinnà (quello ora in discussione) sarebbe stato superato da una proposta ad hoc del suo governo, pronto ad assumere una propria iniziativa. Non pervenuta. Quindi annunci successivi, tra i quali quello del 17 marzo che vedeva le unioni civili approvate prima delle regionali. Ora il ministro Boschi ci fa sapere che questa «battaglia di civiltà» sarà portata a termine dopo le regionali. Anche le battaglie di civiltà devono rispettare i tempi della politica, le priorità stabilite e i rapporti con gli alleati. Specie se non è immediatamente chiaro in che modo trasformarle in bandiere del progresso. E specie se, nonostante si proclami di voler cambiare ogni cosa e pure la mentalità degli italiani, di fronte alle grandi questioni si preferisca limare, aggiustare, trovare compromessi senza avere il coraggio di trattarle, appunto, come grandi questioni, di libertà e eguaglianza.

COSÌ, ben che vada, il nostro punto di arrivo – migliaia di emendamenti ostruzionistici permettendo – sarà quello che già rappresenta il passato in tanti paesi europei. Sarà un’unione civile con molti diritti, ma che ancora discrimina tra chi ha diversi orientamenti sessuali e soprattutto non riconosce il diritto alla paternità e alla maternità alle coppie omosessuali, se non – forse – con il riconoscimento di un affido per i figli del partner. Di limitarsi a togliere semplicemente una discriminazione e estendere il matrimonio a tutti non se ne parla nemmeno. Magari trovando l’alibi di un paese che non è pronto, o di una cultura e un potere cattolici che non si possono ignorare. Ma sono alibi, come dimostra ciò che è avvenuto nella cattolicissima Irlanda.

Non riusciamo a immaginare gli strali di papa Bergoglio contro il matrimonio gay, ma vediamo molto bene il pensiero debole di una classe politica vecchia e nuova che continua a pensare in piccolo, nonostante gli effetti speciali.