Giovedì 5 Settembre 2024
ANDREA CANGINI
Politica

Di guerra in guerra

PERSINO peggio di come l’ha detta ieri Matteo Renzi. L’Europa è sì “un’accozzaglia di regolamenti”, ma regolamenti, regole e trattati vengono applicati in maniera diseguale: interpretati benevolmente per la Germania e i suoi satelliti politici, inflitti senza remore né sconti all’Italia. Nessuna “Comunità”, nessuna “Unione”. Il continente europeo assomiglia sempre più a una giungla. Una condizione prepolitica in cui, parafrasando il filosofo Thomas Hobbes, “ogni Stato è lupo per gli altri Stati”. Una partita truccata in cui l’arbitro, ovvero le istituzioni comunitarie a partire dal presidente della Commissione, Juncker, stanno dalla parte del giocatore più forte, ovvero la Germania. Rovesciare il tavolo europeo probabilmente non ci conviene. Dovremmo allora fare i conti con noi stessi, le nostre lacune, le nostre fragilità nazionali. Nella percezione dell’élite politica che, dal Trattato di Mastricht in poi, a Roma lavorò per la nascita dell’euro e, nei sogni, dell’Europa politica, la logica era proprio questa: costringere alla virtù un Paese cialtrone, inchiodandolo a regole comuni più o meno ferree.

IPOTIZZIAMO che quel sogno valga ancora la pena di essere sognato e quel calcolo di interesse perseguito. Allora occorre fare politica. Occorre che la piccola e debole Italia, coi i pregiudizi che la precedono e il debito pubblico che l’affligge, sia in grado di creare un fronte comune dei paesi ostili a un’Europa germanocentrica. Lo stiamo facendo? Quando, la scorsa estate, difendere la Grecia e il suo diritto ad indire un referendum sui diktat europei voleva dire mettere al suo posto la Germania, Matteo Renzi non colse l’occasione. Sul governo Tsipras l’Italia si ritrovò dalla parte della signora Merkel, Francia e Regno Unito dall’altra. E se la Francia è il nostro alleato naturale in sede europea, ci si domanda per quale ragione fummo così freddi dopo all’attacco dell’Isis a Parigi. Sia nella retorica pubblica attorno al concetto di ‘guerra’, sia nella disponibilità a impegnarci militarmente in Siria, abbiamo marcato la differenza: noi da una parte, la Francia dall’altra.

SE È VERO che gli amici si vedono nel momento del bisogno, sono atteggiamenti che lasciano il segno. E che poi si pagano. Non c’è da stupirsi se, al netto dei confliggenti interessi petroliferi e geopolitici, in Libia, nella ‘nostra’ Libia, la Francia si sia rivelata un avversario temibile piuttosto che un alleato sicuro. È così da settimane. L’Italia lavora a un’intesa politica tra le rissose parti libiche e la Francia esaspera la situazione sul campo puntando a un intervento militare. L’intesa politica oggi non ci sarà. È probabile che Francia e Regno Unito scelgano di passare subito all’azione facendo decollare i propri cacciabombardieri. Fino a qualche giorno fa, l’Italia intendeva disimpegnarsi e marcare la propria differenza. Dopo il litigio con Juncker, preso atto del proprio isolamento in Europa, il premier Renzi pare abbia cambiato approccio. Saremo al fianco della Francia in Libia, sperando di essere di conseguenza meno soli a Bruxelles.