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Fabio Panetta, 65 anni, governatore di Banca d’Italia
I dazi fanno male a tutti. Ma a qualcuno di più. E, nel club delle nazioni maggiormente colpite ci sono, in Europa, Italia e Germania. È il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, a rilanciare l’allarme già fatto suonare, nei giorni scorsi da Confindustria. Mentre tocca all’ex premier, Mario Draghi, alzare lo sguardo per fare sedere sul banco degli imputati non solo l’America neo-protezionistica di Trump ma l’Europa stessa che "impone dazi su se stessa" a colpi di regolamenti e norme autolesionistiche.
Due interventi di peso che fanno salire di molti gradi il dibattito sugli scenari economici prossimi venturi. Scenari che preoccupano non poco il numero uno dell’istituto centrale italiano, soprattutto per l’incertezza "derivante dalle politiche commerciali statunitensi". Nel suo intervento al 31° Forex annuale, al Lingotto di Torino, il banchiere prevede che, se i dazi annunciati fossero attuati e accompagnati da ritorsioni, "la crescita del Pil globale si ridurrebbe dell’1,5%. Per l’economia Usa l’impatto supererebbe il 2%. Per l’area dell’euro le conseguenze sarebbero più contenute, intorno allo 0,5%, con effetti maggiori per Germania e Italia". Ma non ci saranno effetti sull’inflazione: quindi la Bce dovrà continuare sulla strada della riduzione dei tassi. La posizione strategica dell’Italia, in particolare, rischia di rivelarsi vulnerabile se non saranno adottate misure adeguate. "Le merci cinesi, con il mercato Usa bloccato, punteranno ancora di più su quello europeo", ha avvertito Panetta, sottolineando che la zona euro deve affrontare una sfida non solo economica, ma geopolitica. Ma il Governatore non si fascia la testa: "Il nostro ha dimostrato di saper reagire alle crisi, non può accontentarsi di una crescita modesta e nei prossimi mesi il Pil tornerà a espandersi".
Un ottimismo prudente condiviso anche dal presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros Pietro. Un tema su cui è intervenuto anche Angelo Camilli, vicepresidente di Confindustria per il credito, che spera in una risposta unitaria dell’Europa. Ora, però, occorre "moltiplicare gli sforzi per completare gli investimenti e le riforme del Pnrr e attuare il Piano strutturale di bilancio a medio termine elaborato dal governo e approvato a gennaio dal Consiglio dell’Ue, proseguendo sulla gestione prudente dei conti pubblici".
Tornando ai dazi, Panetta non nasconde la sua contrarietà a una risposta basata sulle ritorsioni. Meglio percorrere la strada del dialogo e della negoziazione, ma in maniera non passiva: "L’Europa sta subendo questi sconvolgimenti, tarda a maturare una convinta risposta comune e l’affanno della sua economia contrasta con la vivacità di quella Usa, e segnala una difficoltà europea più profonda, di cui il ritardo digitale è forse l’aspetto più evidente. Lo sa bene anche l’ex numero uno della Bce, Mario Draghi, che rilancia la sua ricetta per la competitività in un lungo editoriale pubblicato sul Financial Times, dove punta l’indice sulla stessa Europa, che si fa male da sola mentre deve liberarsi di quei lacci che ancora ne limitano il potenziale di sviluppo.
A partire dall’incapacità cronica nel superare le elevate barriere interne e gli ostacoli normativi". Il Fondo Monetario Internazionale, ricorda Draghi, "stima che le barriere interne dell’Ue equivalgano a tariffe del 45% per il settore manifatturiero e del 110% per il settore dei servizi". Altro che dazi di Trump. Ma, dal momento che queste criticità sono prevalentemente di origine interna all’Europa, aggiunge Draghi, "ciò implica che esse possano essere affrontate e risolte mediante scelte politiche adeguate e con un cambiamento radicale di mentalità".