Roma, 4 novembre 2023 – Guido Crosetto, ministro della Difesa, quale è il valore, oggi, del 4 novembre?
"Viviamo in un mondo “grande e terribile”, per dirla con un intellettuale a me molto lontano come Antonio Gramsci. Una fase geopolitica, cioè, complessa e tormentata, con guerre terribili che imperversano, dall’Ucraina fino a Gaza. Proprio per questo il 4 novembre è e deve rappresentare un momento di forte coesione in cui riscoprire un aspetto dell’italianità che viene troppo poco sottolineato: da due secoli siamo una Nazione compatta, unita, rispettata. A volte, purtroppo, ce lo dimentichiamo, ma gli elementi che uniscono gli italiani sono ben più di quelli che ci dividono. Derivano dalla storia comune, dall’orgoglio per una tradizione culturale, civica e democratica, senza pari. Il 4 novembre serve a ribadirlo e a rivendicarlo. Anche per questo considero una scelta felice celebrare insieme la Giornata delle Forze Armate e il Giorno dell’Unità Nazionale: i militari sono i primi protagonisti e i difensori di questo sentimento di unità. Inoltre, proprio il contesto internazionale che stiamo vivendo rende chiaro a tutti quanto sia importante l’attività delle Forze Armate in termini di deterrenza e prevenzione delle minacce e per il mantenimento della sicurezza e della pace tra Nazioni. È un lavoro quotidiano che merita di essere riconosciuto, anche attraverso un momento collettivo come una festa nazionale".
Secondo lei, il caso Vannacci ha sporcato l’immagine delle Forze armate, cioè il dovere di essere super partes?
"No. Le legittime idee che ognuno di noi può manifestare non possono mettere in secondo piano i principi ed i valori costituzionali e democratici su cui si fondano le Forze Armate e la Difesa. Non possono compromettere una fiducia costruita in secoli e decenni di servizio onorevole da parte di migliaia di militari. Le Istituzioni rappresentano tutti. Il loro faro è la Costituzione. Gli italiani lo sanno. Il motto dei Carabinieri è “nei secoli, fedele”. Le Forze Armate, tutte, sono questo: fedeli alla Repubblica, alle Istituzioni, alla Democrazia, dai soldati semplici ai generali".
È ancora necessaria la presenza dei nostri militari in Libano? E, a guerra finita, l’Italia sarà disponibile a tutelare una Gaza non più in mano ad Hamas?
"Il Libano è un laboratorio di convivenza, ma molte forze lavorano per sabotarlo. La missione Unifil è un importante fattore di stabilizzazione. Faremo il possibile per non lasciare solo il Libano. La missione può, anzi deve, essere riconsiderata e rimodulata, in ambito e accordo con l’Onu. E va monitorata costantemente la cornice di sicurezza in cui opera. Ma la presenza militare di Unifil mantiene, ancora oggi, un grande v alore. Quanto a Gaza, lavoriamo tutti i giorni per alleviare il dramma in atto, dai profughi agli ostaggi, ma alle soluzioni di lungo periodo penseremo quando sarà il tempo".
Hamas sapeva che avrebbe provocato la risposta di Israele, e questi sta facendo il gioco di Hamas? Siamo al tramonto della concezione dei ‘due popoli e due Stati’?
"Innanzitutto, dobbiamo circoscrivere la dimensione del conflitto per non trasformare questa tragedia in una slavina: stiamo assistendo non a un conflitto israelo-palestinese, ma a un conflitto tra Hamas, e chi gli sta dietro, e Israele. Il pericolo che si scateni una nuova “Lepanto” è dietro l’angolo. Lavoriamo tutti i giorni perché non accada. Il sacrosanto diritto all’autodifesa di Israele deve essere assicurato nel rispetto del diritto internazionale e di quelle regole di umanità, scritte e non, tipici delle democrazie. Ciò detto, la cosa peggiore che possiamo fare è rinunciare alla speranza di una soluzione. Quindi le rispondo di ‘no’: il disegno di due Stati e due popoli non è affatto sepolto. Certo, occorre realismo. Israele sente la ovvia necessità di rimuovere tutte le minacce alla sua sicurezza, ma non può trascurare gesti e atti umanitari: una democrazia ha più responsabilità di un regime".
Si può eliminare la struttura di Hamas senza causare altre migliaia di morti? Cosa farà la comunità internazionale?
"Esistono due piani. Il primo è umanitario: la Comunità internazionale, Italia in testa, lavora per portare generi alimentari e beni di sussistenza alla popolazione civile di Gaza. Sono già partiti dei voli militari dall’Italia e abbiamo tre navi pronte per trasportare civili, feriti gravi, ostaggi. Il secondo è politico: far prevalere la ragionevolezza, dialogando con gli israeliani e la parte di mondo arabo e palestinese che non vuole il conflitto, per favorire un esito di buonsenso che isoli Hamas e non le attiri nuove simpatie. Che la soluzione non può essere soltanto militare è chiaro".
Con la guerra in Ucraina in stallo e l’attenzione mondiale puntata sul Medio Oriente, possono esserci chance maggiori di un dialogo di pace tra Kiev e Mosca?
"L’attenzione nei confronti del conflitto russo-ucraino è calata a livello mediatico, non politico. Il sostegno a Kiev, da parte dell’Occidente e della Ue, è immutato. L’Ucraina sta combattendo per difendere la sua sovranità e anche il rispetto del diritto internazionale, non solo per la sua libertà. È ovvio che una pace duratura non può fondarsi solo sull’azione militare. Serve una ‘tregua’ politica. I tempi non sono ancora maturi, ma ‘Spes ultima Dea’...".