
Il ministro e vicepremier Matteo Salvini (ImagoE)
All’apparenza può sembrare un paradosso. Più si moltiplicano attorno a noi l’insicurezza, l’instabilità, la paura, dunque il bisogno di certezze, più la politica si scompone, ricompone, divide. La guerra, in particolare, è una bomba che dilania, come l’approccio che Trump sta dando alla ricerca della pace e di nuovi equilibri mondiali, possibilmente squilibrati dalla parte degli Usa. Risultato, nei poli si aprono crepe, si staccano iceberg. Nel centro destra Salvini sta con Putin e con Trump, e contro l’Europa, cioè contro di noi. Nel centro sinistra, Conte fa più o meno come Salvini, mentre il Pd non sa cosa fare, infatti cerca di distinguere tra difesa e riarmo, pensando di poter mettere fiori nei nostri cannoni. Così nel disordine degli schieramenti e nella radicalizzazione dei linguaggi, si riaffaccia la voglia di un punto di equilibrio: il centro. Che a sua volta, però, procede in (dis)ordine sparso.
Non tanto nel centro destra che il suo centro ce l’ha, Forza Italia e Noi Moderati. Parliamo soprattutto del centro che guarda a sinistra, dove nel pollaio già cantano due galli come Renzi e Calenda, con una moltiplicazione di sigle ai loro lati superiore a quella dei pani e dei pesci. Nel mondo cattolico, si aspetta il varo di un movimento di intellettuali su alcuni temi specifici, e nel frattempo due ex di Italia viva e Pd, Marattin e Marcucci, hanno appena lanciato il Partito liberal democratico "contro le catene del bipolarismo". Intendiamoci: ben venga l’ingorgo di iniziative se si porta dietro un "ingorgo di idee", se questi movimenti cercano contenuti convergenti, e soluzioni innovative. Il problema, in prospettiva, sta nella legge elettorale che penalizza la parcellizzazione e obbliga a coalizioni forti, possibilmente coese. Domani chissà? Ricordando che i poli in politica non sono come quelli geografici: quando si vota, quasi sempre, smettono di squagliarsi.