Roma, 12 agosto 2019 - Disposto a tutto pur di votare. Anche a dimettersi da ministro e a trovare un accordo di coalizione con Fd’I e Forza Italia – eventualità sempre accantonata per non legarsi le mani –, promettendo loro una dote di seggi. È un Matteo Salvini meno sicuro di sé, conscio della delicatezza del momento, quello che è giunto in Sicilia dove è stato accolto da molti sostenitori ma anche da contestazioni più intense di quelle viste l’altro ieri in Calabria. A Catania, infatti, ci sono stati momenti di tensione in piazza del Duomo tra sostenitori e avversari di Salvini, con contatti e qualche spinta, sedati dall’intervento di un cordone di polizia. Nuove fischi e slogan alla sua uscita dal municipio dove qualche centinaio di manifestanti lo ha inseguito gridandogli "buffone" e "fascista" e lanciando bottigliette d’acqua vuote contro la sua auto. Stessa musica, in serata, anche a Siracusa, dove chi protestava si è presentato con la maglietta "Non in mio nome". I due gruppi si sono fronteggiati, la tensione è schizzata alle stelle.
LO SCENARIO / Il centrodestra tenta il bis - di Ettore Maria Colombo
"Siete liberi di ospitare cento migranti a testa a casa vostra", ha replicato Salvini ai contestatori che non lo facevano parlare. "Chi urla ‘fascista’, non vuole le elezioni – ha accusato –. È il popolo dei ‘no’, un mix di centri sociali, estrema sinistra e pezzi dei Cinque Stelle". Ma a preoccupare Salvini – e tanto – non sono le contestazioni di piazza, quanto i tentativi di rinviare le elezioni. "Mentre siamo qui a parlare – ha proseguito, incontrando i giornalisti a Catania – da Roma c’è gente che sta offrendo ministeri, candidature, senatori, parlamentari, di tutto. È una certezza. Ci sono telefonate a 360 gradi nel nome di ‘prima la poltrona’. Questo è evidentemente il patto della poltrona. Un’operazione di uno squallore imbarazzate che ha al centro Renzi e Grillo". Ma che potrebbe coinvolgere anche – il leader del Lega ne è consapevole – il centrodestra, in particolare i parlamentari di Forza Italia. Per questo Salvini, anche ieri (pur negandolo ai cronisti), si è sentito con Silvio Berlusconi e ha deciso di correre ai ripari. Su due piani. Il primo è istituzionale: riconoscere che il Quirinale è garante super partes: "Ho totale fiducia e rispetto del presidente Mattarella, che mi sembra abbia ben chiaro il bene dell’Italia". Il secondo piano è invece squisitamente politico: chiudere gli occhi e trangugiare una coalizione larga di centrodestra, per lui amara. Ma la mossa gli sembra il male minore, indispensabile per evitare di vedersi nascere sotto gli occhi un governo di scopo e finire nella palude. "Vedrò sicuramente gli alleati a livello locale del centrodestra – ha detto il leader della Lega – perché alcune elezioni regionali ci sono: in Umbria il 27 ottobre, poi in Emilia Romagna e quindi Calabria, Marche e Toscana. Su questo, l’alleanza che ha vinto le elezioni degli ultimi mesi deve riproporre candidati comuni. Già in settimana ci troveremo e discuteremo anche di altro: quando parlo dell’Italia del sì, parlo di un appello largo". Non è poco, anche se gli uni diffidano degli altri. L’incontro dovrebbe svolgersi domani. E Salvini, dicono fonti a lui vicine, valuterà sulla base dell’atteggiamento tenuto da FI nella conferenza dei capigruppo di oggi. Quello che conta, per il numero uno del Carroccio, è far presto per bruciare sul tempo le manovre dilatorie, "che potrebbero farci perdere anche un anno". Da qui il ricorso a tutte le armi a disposizione, dimissioni comprese, ben sapendo che, con ogni probabilità, Mattarella non lo lascerà alla guida del Viminale in caso di elezioni. "Sono disposto a dimettermi – ha detto – pur di dare la parola agli italiani. Non me lo ha ordinato il medico di fare il ministro".