
"Ho letto un testo: non capisco cosa ci sia di offensivo. Un testo si può distribuire ma non leggere?", spiega...
"Ho letto un testo: non capisco cosa ci sia di offensivo. Un testo si può distribuire ma non leggere?", spiega all’ora di cena. È impossibile credere che una politica esperta come Giorgia Meloni non fosse consapevole delle conseguenze che avrebbero avuto le sue parole molto forti su "un testo sacro della Repubblica antifascista" come il Manifesto di Ventotene, scritto da Spinelli e Rossi. Più che prevedibile la rissa che si è scatenata in Aula e l’enorme irritazione del Colle: nel 2021 Sergio Mattarella definì quel testo "un punto di riferimento". Inevitabile chiedersi perché decide di chiudere il discorso a Montecitorio in vista del Consiglio europeo odierno così: "Nella manifestazione di sabato è stato richiamato da molti partecipanti: spero che non l’abbiano letto". Provvede a farlo lei, citando stralci preparati dal suo staff fino al climax finale: "Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e attorno a esso la nuova democrazia. Non so se questa è la vostra Europa, certamente non è la mia". S’apre il rodeo: il centrosinistra urla, fischia, le chiede di scusarsi. I suoi fedelissimi applaudono: impossibile andare avanti. Seduta interrotta due volte: nella pausa dei lavori il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, catechizza i capigruppo: "Chi ha combattuto per la nostra libertà, merita il nostro plauso". La ripresa – con Meloni in volo per Bruxelles – non è serena.
Né lo è il consueto pranzo pre-vertice Ue al Quirinale. Si parla ovviamente di Ucraina, dazi, Medio Oriente. Lo spettro di Ventotene aleggia, lo sconcerto del capo dello Stato è palpabile: nessun incontro a due, come invece spesso accade. Era facilmente ipotizzabile che l’affondo avrebbe rianimato i dubbi sui rapporti della premier con i suoi trascorsi missini. In parte certamente c’era l’intenzione di sviare l’attenzione dai guai della sua maggioranza. Ieri la risoluzione ha incassato il sostegno di un centrodestra compatto: 188 sì, 125 no e 9 astenuti. La Lega, pur ribadendo la sua contrarietà al ReArm Europe ha espresso per bocca del capogruppo Riccardo Molinari "piena fiducia in Meloni". E tuttavia è proprio lui a spiegare: "Meloni non ha il mandato per approvare il ReArm". Dunque, Giorgia va al Consiglio Ue senza poter contare sulla sua maggioranza, ma qualcosa si è incrinato anche nei rapporti con Bruxelles – dove appena sbarca parla con la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola – con l’amica Ursula von der Leyen e con le principali capitali europee.
In Aula è molto critica sul piano non solo per rabbonire il Carroccio, dopo il Consiglio straordinario in cui aveva dato il semaforo verde, ma perché si è convinta che in quel progetto ci sono elementi destinati a danneggiare sia l’Italia che il suo governo: "Il piano si basa sul debito nazionale degli Stati". È un progetto che va a vantaggio di chi ha il debito basso come la Germania, ma mette in ginocchio chi lo ha altissimo come l’Italia. Per lei, gli 800 miliardi devono essere spesi non solo per le armi, ma per il dominio della difesa che lei vuole sia vastissimo: "Dalla cyber-sicurezza alla difesa dei confini". La tensione è alta anche sul capitolo Ucraina, con l’Europa che vede Trump come un nemico, diffida della sua mediazione, al contrario di lei.
Sensati i dubbi di Meloni sull’opportunità di ingaggiare una guerra dei dazi ma è inevitabile che in Europa vengano presi come una rottura del fronte. Si può capire che la premier mirasse a distrarre ma l’attacco su Ventotene si dimostra un boomerang: l’ala più europeista della maggioranza – Forza Italia ma anche frange di FdI – reagisce con disappunto: "Ha sbagliato". Osserva in serata Antonio Tajani, che al momento dell’affondo era seduto sui banchi azzurri, non del governo: "Non ha attaccato Spinelli, ha contestato dei punti del testo".
La domanda resta valida: cosa ha spinto la premier a una mossa così fragorosa? Forse semplicemente il fatto che quelle cose le pensa e non potrebbe essere diversamente: il Manifesto di Ventotene è una denuncia di ogni forma di nazionalismo. Prima sarebbe stata attenta a non dirlo apertamente. Dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, il mondo è cambiato e Giorgia si permette ciò che prima le era proibito: "Un testo che 80 anni fa aveva una sua contestualità, se lo distribuisci oggi devi chiederti se è ciò in cui credi".