Neanche il giorno in cui è nato il governo giallorosso si è visto un fenomeno simile. Un fiume di dichiarazioni di sperticato sostegno al premier che a Bruxelles combatte una battaglia in cui è in ballo il futuro del Paese e della Ue, come ben sanno al Quirinale dove monitorano la situazione. Dal capo delegazione Pd al governo, Franceschini, fino all’amico-rivale Luigi Di Maio passando per Bonafede, De Petris, Fornaro. Tutti lì, con un impegno senza pari, a blindare Conte per respingere gli attacchi di quelli che, in teoria, sarebbero gli alleati europei. L’unione, si sa, fa la forza.
Ma a grattare sotto la superficie si scopre che tutti, o quasi, sono pronti a presentargli il conto. Per un comportamento che dem e renziani non faticano a definire superficiale: ha gestito male la comunicazione – sussurrano –, ha fatto finta che tutto fosse facile, che nel colloquio con il premier olandese Mark Rutte la scorsa settimana aveva gettato le basi per un’amicizia, mentre la realtà dimostra che la situazione era molto più complicata. "Invece di gettare tutte le fiches sul Recovery Fund, avrebbe dovuto rendere più digeribile ai grillini il Mes".
Lo ha ben presente Giuseppe che nella notte tra sabato e domenica si era lasciato sfuggire: "Non posso rientrare in Italia con una sconfitta: mi sto giocando tutto". È proprio così. Tornare a casa con un accordo al ribasso significherebbe probabilmente avviare un conto alla rovescia. Non subito: una crisi ora non la vuole nessuno, benché il fantasma del Mes agiti gli animi, con Pd e, soprattutto, Iv pronti a batter cassa già oggi.
Ma in prospettiva gli umori tra i giallorossi sono diversi: "Un esito men che dignitoso – riassume umori comuni un colonnello democratico – indebolisce il governo". In questo quadro, c’è chi addirittura si augura che non sia lui a gestire i fondi europei. E chi vede dietro l’immagine dell’avvocato pugliese l’ombra lunga di Draghi. "In settembre può cadere il Paese – filtra dalla maggioranza –. E l’unica risposta che una classe politica può tentare di dare è il ricorso a un salvatore della patria ben visto in Europa". Ipotesi che scatena un’ondata di entusiasmo tra i forzisti: soli, nel centrodestra, a pregare che l’Italia non esca con le ossa rotte dal "Consiglio europeo. Un accordo al ribasso, insomma, equivarrebbe a una sconfitta secca sul piano politico. Conte rischia di uscirne probabilmente come un’anatra zoppa. Ecco perché, di fronte allo stallo, ieri pomeriggio è stato tentato, assieme al premier spagnolo Sánchez, di imporre il rinvio delle decisioni agli europartner facendo le valigie e tornando a casa. A fermarli, probabilmente, anche il rischio di uno schianto delle borse oggi. Non stupisce se il capo del governo giallorosso se la prende con il collega olandese Rutte: "Forse sarai considerato un eroe per qualche giorno, ma poi dovrai rispondere ai cittadini europei del crollo del mercato unico".
Naturalmente, un rinvio della decisione di qualche mese sarebbe anche più disastroso di un compromesso al ribasso perché i tempi per l’Italia sono fondamentali: urgono fondi per finanziare la ripresa. Un breve slittamento, al contrario, pone il presidente del Consiglio di fronte a una sfida politica dalla quale può uscire bene o male: il Mes. Dovrà utilizzare il tempo che ha per farlo accettare ai Cinquestelle.