Roma, 29 febbraio 2024 – Quale lezione viene dal voto in Sardegna?
"La prima amara lezione è per Giorgia Meloni – avvisa netto il leader dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, protagonista con Alessandra Todde dell’impresa sarda – La vera sconfitta è lei. Il risultato in Sardegna è anche il segno di un clima che nel Paese sta cambiando, evidentemente i cittadini – anche coloro che avevano creduto alle promesse di Meloni – iniziano a sentirsi traditi. La premier è andata a Cagliari a fare il suo show sul palco e non ha incontrato i cittadini che in Sardegna aspettano anche 500 giorni per un esame radiologico; va in Emilia-Romagna e scappa dalle proteste degli alluvionati che lamentano i ritardi del governo sugli aiuti; non prende posizione contro le manganellate degli studenti che a Pisa e Firenze chiedono la fine della mattanza a Gaza. È una premier in fuga dalla realtà".
E la lezione per le opposizioni?
"Il voto ci conferma che il M5s è sulla strada giusta. Anche la nostra nuova organizzazione sui territori inizia a dare i suoi frutti ed eleggiamo la prima governatrice di Regione del M5s dopo la vittoria di Foggia. L’altra lezione è che costruire un campo giusto e credibile con altre forze progressiste su programmi precisi, realizzabili e concreti, premia. Da qui parte l’alternativa per mandare a casa Meloni e soci".
È un modello replicabile e a quali condizioni?
"Il modello della Sardegna è vincente. La condizione principale però è confrontarsi seriamente e proporre programmi realizzabili. La nostra precondizione è non fare come Meloni, che ha tradito chi l’ha votata: se proponi una cosa poi la devi realizzare".
E’ stato anche sottolineato che la lista del Pd in Sardegna arriva davanti a quella del M5s.
"Quando si vince si è tutti protagonisti e partecipi del risultato".
Ma il risultato del Pd può incidere negli equilibri tra di voi?
"Sono ragionamenti senza senso e a chi li sostiene dovrei far notare che in Sardegna ha vinto un progetto condiviso e alla presidenza della Regione arriva un’esponente del M5s, e che tra i voti per il M5s vanno conteggiati quelli della nostra lista, quelli del listino della nostra Todde e il valore aggiunto di voti portato dalla stessa Alessandra".
A lei non è mai piaciuta più di tanto – diciamo – l’espressione campo largo: perché?
"È una questione di sostanza: non ci interessa fare un’alleanza elettorale a tutti i costi, solo per il potere, e poi ritrovarci il giorno dopo la vittoria senza sapere come governare con i nostri alleati. Ci interessa, piuttosto, partire dal confronto, anche su ciò che ci divide, e realizzare un programma con compagni di viaggio affidabili. Altrimenti ti ritrovi a fare una retromarcia al minuto come questo governo".
Come chiamerebbe un progetto di alleanza con il Pd e le altre forze di opposizione?
"Non è importante come lo chiamiamo, quel che importa è che cosa andiamo a offrire ai cittadini, quale alternativa proponiamo. Noi abbiamo le idee chiare per un’Italia che sia attenta alla giustizia sociale, alla lotta al malaffare, agli investimenti su innovazione e transizione ecologica, all’adeguamento degli stipendi troppo bassi e al sostegno delle imprese virtuose".
Come valuta l’apertura di Calenda?
"In Sardegna l’alternativa a Meloni ha vinto senza Calenda, che anzi ha rischiato seriamente di far vincere la destra con Soru. Ora si è accorto dell’ovvio: non esiste alternativa a Meloni che non veda il M5s protagonista. Bene, ci faccia sapere che cosa vuol fare da grande, sapendo però che la convergenza si costruisce su temi e proposte e non per questioni di simpatie personali".
Crede nella figura di un federatore? Chi può farlo nel caso?
"Per costruire un programma comune basta confrontarsi sui temi, non c’è alcuna necessità di invocare la mediazione paternalistica di figure terze. Poi ripeto, mi interessa confrontarmi sulle battaglie da fare e su cui è possibile unire le forze, come ad esempio quella sul conflitto di interessi per spezzare il legame tra politica e affari e per alcune nostre proposte sul lavoro".
Ce ne dice una?
"Penso alla proposta a mia prima firma per sperimentare anche in Italia la riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 32 ore settimanali, a parità di stipendio. Succede già in altri Paesi: più tempo di vita per i lavoratori, sgravi per le imprese che sperimentano, più produttività. Spero che le altre forze politiche possano convergere su questa nostra proposta di buon senso".
Per le prossime elezioni regionali come procede il dialogo con le altre forze?
"Il metodo è sempre quello del dialogo su obiettivi programmatici. In Piemonte e Basilicata ci sono delle difficoltà ma il dialogo continua. Però ora la priorità è concentrare tutte le energie sull’Abruzzo: dobbiamo tentare l’impresa anche lì".
Le Europee, però, sono su base proporzionale: la competizione sarà anche con il Pd?
"La competizione tra le forze politiche è insita nelle elezioni europee, determinata dalla logica del sistema proporzionale. In ballo c’è anche l’idea di Paese che vogliamo essere in Europa e la nostra è completamente diversa da quella che sta costruendo Meloni a Bruxelles e nei vertici internazionali: un Paese a testa bassa, che anziché andare in Europa per cambiare tutto e riportare a casa 209 miliardi di investimenti per la crescita come abbiamo fatto noi, va a fare accordi per nuovi tagli da 12 miliardi l’anno".
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