Martedì 5 Novembre 2024
ETTORE MARIA COLOMBO
Politica

Anche la Consulta allontana le urne. Verdetto sull’Italicum il 24 gennaio

I rumors: via il ballottaggio, resta il premio per chi supera il 40%

La targa del palazzo della Consulta a Roma (Ansa)

La targa del palazzo della Consulta a Roma (Ansa)

Roma, 7 dicembre 2016 - LA CORTE costituzionale ha ‘deciso di decidere’, sull’Italicum, il 24 gennaio 2017. Una scelta che ha avuto immediate e pesanti conseguenze politiche e istituzionali. Il quadro è cambiato in un pomeriggio. Renzi e il Pd si sono dovuti riconvertire rapidamente dal grido di guerra «elezioni subito», al massimo entro marzo, al dover accettare, obtorto collo, un «governo istituzionale» di più lunga durata.  Prima di capire, però, cosa potrà decidere la Consulta sull’Italicum, ripercorriamo le tappe delle sue scelte precedenti. Una grandinata di ricorsi nei tribunali civili erano stati subito presentati, contro l’Italicum, da un pool di avvocati: finora ne sono arrivati cinque (Torino, Perugia, Messina, Trieste, Genova), ma sono in costante aumento. Il presidente di una Consulta in questo momento sotto organico di un giudice (Giuseppe Frigo, di area centrodestra, dimessosi un mese fa per motivi di salute), Paolo Grossi, affida il fascicolo a un giudice relatore, Niccolò Zanon, ex membro laico del Csm area Pdl.  La Consulta avrebbe dovuto dare il giudizio di legittimità sull’attuale legge elettorale – in vigore dal primo luglio 2016 ma per la sola Camera – lo scorso 4 ottobre, ma il 19 settembre la seduta venne rinviata perché rischiava di interferire con il voto sul referendum costituzionale. La scelta di riunirsi il 24 gennaio, e non prima, sconta tempi tecnici dovuti alla notifica alle parti ricorrenti e alla necessità di capire, da parte dell’Avvocatura di Stato, se anche il nuovo governo, dato che questo in carica è dimissionario, vorrà «difendere» l’Italicum. Si dice anche che sarebbe stato lo stesso Mattarella a premere sulla Corte e il suo residente per ottenere una sentenza in tempi il più possibile anticipati.   RIGUARDO ai contenuti della decisione della Consulta, è certo che la Corte farà robuste, correzioni all’Italicum, ma quali? Nel mirino ci sono tre punti. Le multicandidature, possibili fino al numero di 10, che potrebbero essere ridotte o obbligare l’eletto a optare per il collegio dove ha preso più voti, i capilista bloccati, fissati a quota 100 (ma questi potrebbero passare), e, soprattutto, il «combinato disposto» tra premio di maggioranza e ballottaggio. Infatti, l’Italicum prevede che, se nessun partito raggiunga il 40% dei consensi al primo turno, vadano al ballottaggio le prime due liste più votate ma senza soglia di accesso, cioè a prescindere dal numero dei votanti. Una lista può, quindi, al secondo turno e con una cifra bassa di consensi, assicurarsi il premio di maggioranza del 54% (340 seggi su 630, al netto dei 12 deputati eletti all’estero e dei 3 collegi uninominali di Trentino e Val d’Aosta).  Le «voci» che arrivano dal Palazzo della Consulta dicono che la Corte manterrebbe il premio al 40%, eliminando il ballottaggio o condizionando il premio al raggiungimento di un quorum alto di partecipanti al voto al secondo turno.  Ne deriverebbe che, se nessuna lista lo raggiunge, i seggi si ripartiscono con il metodo proporzionale e le preferenze nei 100 collegi previsti dall’Italicum, restando fisso lo sbarramento nazionale al 3%. Rimane in piedi, però, il problema del sistema in vigore per il Senato. Sempre la Consulta, con sentenza del 2013, ha cassato il vecchio Porcellum, abolendo il premio di maggioranza abnorme (55% dei seggi alla prima lista senza soglia) e le liste bloccate, ma lasciando intatte le soglie di sbarramento per il Senato (20% per una coalizione, 8% per una lista, 3% per una lista interna a una coalizione) mentre quelle per la Camera sono state poi cancellate dall’Italicum. Inoltre, soglie di sbarramento e ogni forma di possibile premio vanno attribuiti, al Senato, «su base regionale».    IL SISTEMA elettorale che uscirebbe dalla sentenza della Consulta dovrebbe prevedere soglie di sbarramento e sistemi di trasformazione dei voti in seggi entrambi diversi, pur configurandosi come un proporzionale semi-puro. Infine, se alla Camera la sentenza della Corte sarebbe auto-applicativa perché l’Italicum è già legge, per il Senato bisognerebbe intervenire con un decreto legge che solo il Parlamento (e il nuovo governo) potrebbero approvare. Dalla sentenza, dunque, e pur immaginando una pubblicazione delle sue motivazioni in Gazzetta ufficiale nel giro di una settimana, non si potrebbe andare al voto «subito»: di certo non a febbraio né a marzo non fosse perché, per sciogliere le Camere e convocare le elezioni, servono almeno 60 giorni per i comizi elettorali. Se ne parlerebbe, per andare al voto anticipato, non prima di aprile inoltrato.