Roma, 8 ottobre 2024 – All’ora di cena i numeri non ci sono, almeno sulla carta, ma la premier va avanti lo stesso: si tratta fino alla fine. "Anche per l’elezione di La Russa alla presidenza del Senato alla vigilia non c’erano", mormora un colonnello di FdI.
Di sicuro, il destino di Francesco Saverio Marini, consulente giuridico di Palazzo Chigi, dipende da un pugno di schede. Stamani per l’ottava volta il Parlamento si riunisce in seduta comune per eleggere il giudice della Corte costituzionale vacante da dieci mesi: per la fumata bianca servono 363 voti (vale a dire i 3/5 dei 605 parlamentari italiani). Il centrodestra ne ha virtualmente 362: dal conto però bisogna togliere i due presidenti delle Camere, i ministri Tajani e Fitto in missione all’estero e Umberto Bossi. Per arrivare a dama servono diversi voti ’esterni’, al netto di assenti e franchi tiratori.
Nessuno stupore se ieri ci fosse una certa tensione sia tra i ranghi della maggioranza, dove la fuga di notizie sui parlamentari precettati nella sua chat riservata ha provocato l’ira di Giorgia Meloni e la caccia alla talpa. Sia tra le opposizioni, dove la mossa della premier è considerata "un blitz inaccettabile", e si punta a metterle i bastoni tra le ruote perché "si fermi e avvii un confronto con il centrosinistra". Come? Con l’Aventino, unico modo sicuro per evitare voti in libera uscita. Pd, M5s, Avs e Azione fanno sapere che non parteciperanno alla votazione.
"Non vorremmo fare la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai", mette però in chiaro il leader di Azione, Carlo Calenda, ricordando quando una decina di giorni fa il campo largo è andato in pezzi.
In questo quadro, s’inserisce l’appello dei capigruppo di FdI, Tommaso Foti e Lucio Malan: "Tante votazioni infruttuose dovrebbero suggerire a tutti di seguire l’invito del capo dello Stato a eleggere il giudice che manca da mesi". Stamani si riuniranno i gruppi di opposizione per decidere se restare o meno in Aula: il sospetto generale è che i Cinquestelle entrino nell’emiciclo e, pur assicurando che non ritireranno la scheda, qualche voto da lì esca.
Non sarebbe la prima volta che Conte e Meloni si mettono d’accordo alle spalle di Elly. Dal Movimento garantiscono che non sarà così. Forse si differenzieranno entrando in Aula invece di restare in transatlantico ma niente di più. In assenza di un accordo ufficiale con qualche partito di minoranza, si guarda a chi potrebbe votare con il centrodestra anche se gli interessati non confermano. Circolano i nomi del senatore Meinhard Durnwalder e del deputato Dieter Steger della Svp che più volte hanno votato con la maggioranza. A questi si potrebbero aggiungere altri potenziali sì: quelli di Francesco Gallo di Sud chiama Nord o Andrea de Bertoldi, deputato espulso ad agosto da FdI. Altri ancora dalle Autonomie, come il valdostano Franco Manes. Quanto ai senatori a vita, per fare la differenza dovrebbero votare tutti e cinque ed è improbabile.
Insomma: l’alea è alta. Perché allora la premier ha scelto di rischiare? Delle due, l’una: o ha un accordo segreto con qualcuno e in quel caso si scoprirà solo all’ultimo momento in aula. L’altra ipotesi è che Giorgia Meloni voglia fare apparire le opposizioni come sabotatori irresponsabili che lasciano vacante una delle istituzioni principali del Paese proprio sulla soglia di un passaggio essenziale che dipende dal funzionamento della Consulta. Ovvero, i ricorsi di quattro regioni contro il ddl Autonomia e l’ammissibilità dei quesiti referendari.