Mercoledì 11 Settembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Commissione Ue, mal di pancia sulla nomina di Fitto. La rivolta dei socialisti: “Popolari pigliatutto”

C’è una spaccatura all’interno della coalizione. Il Ppe ha 14 commissari e portafogli di peso, gli alleati chiedono a von der Leyen un bilanciamento

Roma, 12 settembre 2024 – La presidente dell’eurogruppo S&D, Iratxe Garcia Perez, la mette giù piatta piatta: “Stiamo negoziando, abbiamo delle richieste che vogliamo siano ascoltate”.

Il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni
Il ministro affari europei, Raffaele Fitto e il presidente del consigli Giorgia Meloni

E così, Ursula von der Leyen si è dovuta rassegnare ad aprire quella trattativa che aveva cercato fino all’ultimo di evitare per condurre in porto la sua squadra martedì. In ballo c’è il nome di Raffaele Fitto (FdI) e non si tratta solo di uno schermo. Il nodo è in parte reale, ma in parte è l’alibi per affrontare una questione ben più complessiva e potenzialmente esplosiva. La lacerazione nella maggioranza che ha rieletto Ursula alla presidenza della Commissione.

È uno scontro di potere, ma anche un confronto tra visioni strategiche opposte. I socialisti masticano amaro perché i popolari, forti dell’essere l’unico partito di maggioranza uscito vincente dalle Europee, hanno imposto una sorta di legge del più forte, ottenendo 14 commissari e portafogli di peso, lasciando ai partiti alleati le briciole. Il colpo finale è arrivato quando i socialisti hanno scoperto che la presidente intendeva sottrargli le deleghe del Clima e degli Affari sociali. Ancor più cocente è la estromissione dal Collegio dello Spitzenkandidat socialista, il lussemburghese Nicolas Schmit, ex commissario al Lavoro e alle politiche sociali.

S&D pone come condizione per il disco verde alla vicepresidenza esecutiva di Fitto il ritorno in campo di Schmit. Più facile a dirsi che a farsi: il governo lussemburghese, a guida centrodestra, ha indicato come commissario un popolare, Christophe Hansen. “Non decido io i candidati dei vari Stati”, spiega von der Leyen. Ma S&D incalza: la Germania ha un governo di centrosinistra ma ha candidato te, una popolare, come commissario.

Il Granducato può raddrizzare il tiro puntando su un socialista. La simmetria è più apparente che reale dal momento che il Ppe in Germania, pur non essendo al governo, ha vinto le elezioni. Ma se anche Ursula riuscisse a convincere i lussemburghesi a cambiare il commissario, resterebbe un secondo nodo: quello di genere. Le deleghe che aveva Schmit sono andate alla socialista rumena Roxana Minzatu. Ora che i socialisti chiedono il reintegro di Schmit con lo stesso portafoglio che aveva, i conti non tornano. Il negoziato è tutt’altro che facile anche se non è escluso che slitti dal caso Schmit alla conquista di deleghe più importanti di quelle attuali. Verdi e liberali, invece, sono più indisponibili alla trattativa. “Non ci sono posti di lavoro vacanti per populisti, nazionalisti o persone prive di ispirazione”, sottolinea la capogruppo di Renew Europe, Valérie Hayer. Netto il no dei verdi italiani.

Il nodo qui è più politico. La vicepresidenza Fitto equivarrebbe di fatto a una cooptazione dei conservatori (l’eurogruppo di FdI) nella maggioranza, a tutto vantaggio del Ppe che da un lato avrebbe a disposizione le condizioni per una tipica strategia dei due forni e dall’altro farebbe un passo da gigante in direzione di una futura maggioranza alternativa popolari-destra. Quella che Meloni sognava prima delle elezioni e che sembra non dispiacere neppure a Manfred Weber, presidente del Ppe e capogruppo all’Eurocamera. A farne le spese sarebbero ancor più di S&D i gruppi minori come verdi e liberali. Si può capire che la prospettiva di essere sbalzati in una marginalità assoluta non li faccia sorridere.

D’altra parte anche la defenestrazione di Fitto è tutt’altro che facile; i popolari, con Weber, fanno capire di voler tener duro: “L’Italia deve essere ben rappresentata nella Commissione. L’Europa deve rispettati i risultati ottenuti dal governo Meloni su molte questioni europee”. E d’altra parte, la delegazione italiana del Ppe, ovvero FI, minaccia di ripagare un’eventuale bocciatura dei commissari con la stessa moneta, silurando quelli socialisti. L’esito sarebbe esplosivo, di fatto la Ue si troverebbe senza una maggioranza.

Per questo a Palazzo Chigi c’è preoccupazione ma non pessimismo. Del resto Giorgia Meloni può contare su altre due carte: intanto, votare contro Fitto per S&D significherebbe rompere con il Pd, la delegazione più forte, che di fatto sostiene il commissario italiano. Inoltre, la premier ha messo in campo la contromossa. Ha telefonato a Draghi e l’ha invitato a Chigi. Non si tratta tanto di invocare un improbabile intervento diretto dell’ex presidente della Bce, ma certo una sua copertura più o meno indiretta renderebbe difficile accusare il governo italiano di antieuropeismo. Che è l’unica motivazione che potrebbe giustificare il no a Fitto.