Roma, 5 ottobre 2024 – Sembra ieri. Che in Parlamento cominciavano a risuonare nuove grida di battaglia (“apriremo le istituzioni come scatolette di tonno”, “uno vale uno”, “viva la decrescita felice”) pronunciati dei rappresentanti del neonato M5s. E, invece, sono già passati 15 anni, durante i quali il partito nato dalla “fantasia“ di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, si è trasformato prima in un partito di governo e oggi in un partito in cerca d’autore. E di obiettivi.
Eppure ieri il presidente Giuseppe Conte ha rivendicato: “Serviamo oggi più che mai”, il Movimento “deve sempre rinnovarsi” pur “restando se stesso”, “ancorato ai nostri valori”, perché “possiamo alzare la voce con chiunque e soprattutto con chi ha sempre comandato e vuole ancora comandare: è per questo che ci attaccano”. In un lungo video, Conte ha detto: “L’augurio va a ognuno di voi, di noi, a chi ci è sempre stato, a chi è rimasto, a chi si è aggiunto, a chi anche quest’estate sotto il sole non si è risparmiato, per portare avanti le nostre battaglie, per raccogliere le firme, contro l’Autonomia differenziata, per il salario minimo; il M5a non deve invecchiare mai, dobbiamo sempre riscoprirci e rinnovarci. E mi riferisco anche al processo costituente: siamo i primi in Europa a fare un esperimento del genere, integrale e totale, di democrazia partecipativa e deliberativa. Oggi più che mai serve il M5s, con la sua azione dirompente”.
Dirompente, certo. Come lo sono state, qualche giorno fa, le parole di Conte che non solo ha sepolto il campo largo, ma ha messo in discussione le alleanze a sinistra per le prossime regionali (Liguria, Emilia-Romagna e Umbria). E pure sulla Rai, ora, Conte alza la voce. Anzi, ruba il pallone e fugge dal campo: il M5s “non parteciperà al voto”, ha annunciato il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli, in Vigilanza Rai.
Perché è intervenuto un fatto nuovo: il direttore del Tg3, Mario Orfeo, ha lasciato la Rai per andare a dirigere Repubblica, mollando l’ambita poltrona alla mercè dei marosi delle trattative sulla presidenza del cda, cui sarebbe designata Simona Agnes. Ma Conte vuole quella poltrona, escludendo qualsiasi soccorso al centrodestra (magari in cambio della direzione del Tg3). Chi scommette che la guida del Tg3 vada in mani 5 Stelle vede tra i papabili Senio Bonini, vicedirettore al Tg1, e Bruno Luverà, vicedirettore agli Approfondimenti. Se, invece, la spunterà il Pd, si fanno i nomi di Carlo Fontana, Ilaria Capitani e Andrea Vianello. Oppure Simona Sala, che potrebbe mettere d’accordo dem e grillini.