Martedì 22 Aprile 2025
RAFFAELE MARMO
Politica

Gli errori di Ciampi, dal super debito alla difesa della lira

Per alcuni economisti anche la creazione della banca universale fu uno sbaglio

Carlo Azeglio Ciampi (Ansa)

Roma, 17 settembre 2016 -  Carlo Azeglio Ciampi statista, civil servant, patriota e costruttore dell’Europa. Sicuramente. Ma si farebbe un torto alla storia e magari anche al personaggio se, come accade per ogni uomo politico, non si guardasse anche a qualche ombra e a qualche errore che osservatori disincantati e fuori dal coro del conformismo nazionale attribuiscono all’ex presidente della Repubblica. Qualche errore e qualche ombra che rinviano più al Ciampi governatore di Bankitalia che all’uomo di governo. Non, dunque, la fissazione del cambio lira-euro o la concessione della licenza per i telefonini alla Omnitel di Carlo De Benedetti il giorno dopo le elezioni del ’94. No, ma un po’ di flashback che lo riguardano come banchiere centrale.

Era l'estate del 1981, l’alba della tecnocrazia che avrebbe di fatto guidato il Paese nel trentennio successivo, quando, dopo una serie di lettere e telefonate fra Via XX Settembre e Via Nazionale, si decise di varare quello che verrà chiamato «divorzio», ovvero la separazione funzionale fra le due istituzioni: la Banca d’Italia non sarebbe più stata obbligata a comprare i titoli di Stato invenduti alle aste indette dal Tesoro, smettendo perciò di calmierare i tassi. Più o meno la stessa regola poi dalla Bce estesa a tutti, e da tutti maledetta tranne che dai tedeschi. A un capo della linea, a via XX settembre, c’era Beniamino Andreatta, all’altro, a via Nazionale, Carlo Azeglio Ciampi, divenuto governatore da un paio d’anni, dopo le inchieste farlocche che avevano coinvolto i suoi due superiori gerarchici, Paolo Baffi e Mario Sarcinelli. Risultato: spesa per interessi sul debito schizzata dell’equivalente di 40 miliardi di euro in soli due anni e avvio della spirale del debito pubblico.

Ed era l’estate di 11 anni dopo, nel 1992, quando la speculazione si abbatté violentemente sulla lira costringendo il Paese a una difesa disperata della moneta. Disperata e vana, visto che in settembre l’Italia fu comunque costretta a svalutare, uscendo insieme alla sterlina dallo Sme. Vana per l’Italia, s’intende, perché la questione era europea e, dopo la sconfitta nel referendum danese di giugno, il Trattato di Maastricht rischiava di essere respinto anche in quello francese di settembre. Antonio Fazio quantificò nell’equivalente di 48 miliardi di dollari le risorse bruciate dal suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, nel tentativo di difendere un cambio irrealistico.

Ed era l’estate dell’anno successivo, il 1993, quando fra arresti e misteriose esplosioni, venne redatto il decreto legislativo che creava la banca universale, abolendo la separazione fra banche commerciali e banche d’investimento che risaliva al fascismo o, a seconda dei punti di vista o del lato dell’Oceano da cui la si guarda, al New Deal con il nome di Glass Steagall Act o di legge Menichella. Già, proprio quello che oggi tutti sostengono si debba ripristinare e la cui abolizione ha permesso il diluvio della crisi finanziaria, insieme con l’abolizione del legame fra banca centrale e Tesoro di cui si è detto. Al governo, guarda caso, c’era lo stesso Ciampi che nell’81 aveva varato il divorzio, diventato nel frattempo Presidente del Consiglio.