Roma, 28 gennaio 2025 – La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è volata ad Al-Ula, in Arabia Saudita, per un incontro con il primo ministro Mohammad Bin Salman durante il quale sono stati discussi i principali dossier internazionali ed è stato siglato un partenariato strategico del valore di 10 miliardi di dollari. Il principe saudita con cui buona parte dell'Europa continua a intessere relazioni, viene presentato spesso come un riformatore visionario, al tempo stesso, Bin Salman, è stato associato a episodi che hanno provocato la condanna unanime dell’occidente e continua ad essere al cento delle contestazioni relative alle violazioni dei diritti umani perpetrate dal suo regime.
L’assassinio di Jamal Khashoggi
Il 2 ottobre 2018, il giornalista saudita Jamal Khashoggi entrò nel consolato saudita di Istanbul, in Turchia, per non uscirne mai più. Secondo le ricostruzioni successive, l’uomo venne ucciso e smembrato da un gruppo di agenti sauditi. Rapporti dell’intelligence statunitense hanno indicato un coinvolgimento diretto o indiretto di Bin Salman nell’operazione, muovendo accuse che il principe ha sempre rispedito al mittente. La condanna unanime da parte della comunità internazionale che è seguita al caso, ha messo per qualche tempo a dura prova la diplomazia saudita ma non ha inciso nelle relazioni commerciali con l'occidente.
Riforme e repressione
Nel 2016, Mohammad Bin Salman ha lanciato “Vision 2030”, un ambizioso piano per trasformare l’economia saudita e diversificarla dalla dipendenza dal petrolio. Il progetto include iniziative per attrarre investimenti esteri, sviluppare settori come il turismo e l’intrattenimento, e promuovere l’uso delle tecnologie avanzate. Tra i progetti simbolo, anche la discussa Neom, una città intelligente nel deserto, che promette innovazioni rivoluzionarie in vari campi. Sul piano sociale, il regno ha assistito a riforme significative, come il permesso alle donne di guidare, la riapertura di cinema e la possibilità di partecipare a eventi pubblici misti. Cambiamenti che hanno portato al riconoscimento internazionale nei confronti di Bin Salman, proiettandolo come un leader modernizzatore ma che rischiano di oscurare alcuni lati inquietanti del suo regime. Dietro la facciata delle riforme, in Arabia Saudita, infatti, continua a vigere un rigido sistema di repressione nei confronti delle donne e degli oppositori politici. Negli ultimi anni, il Paese ha intensificato gli arresti di dissidenti e attivisti per i diritti umani.
Pena di morte, esecuzioni in aumento sotto il regime di Bin Salman
Particolarmente allarmante è, inoltre, in Arabia Saudita, il ricorso alla pena di morte: le esecuzioni, spesso eseguite tramite impiccagione, sono aumentate significativamente sotto la leadership di Bin Salman. Dal 2015, l’anno in cui ha assunto di fatto il potere, ci sono state almeno 1257 impiccagioni, una media di 140 all’anno. Secondo Amnesty International, nei soli primi nove mesi del 2024 le autorità saudite hanno superato anche il record delle 196 morti del 2022: le 198 esecuzioni da gennaio a settembre, infatti, hanno rappresentato il numero più alto mai registrato dal 1990.