La suggestione c’è, e lo ammettono tutti. Ma è senza padre né madre. Nessuno tra i fratelli d’Italia, e neppure tra le sorelle, riconosce come propria l’ideuzza di studiare un provvedimento – decreto o disegno di legge – per evitare che nelle Corti d’appello passino i magistrati delle sezioni immigrazione dei Tribunali: quelli che, finora, hanno sempre bocciato le richieste di convalida dei trattenimenti in Albania. Insomma, un provvedimento che ristabilisca i criteri di assegnazione delle toghe che devono decidere in materia. "Se ne parla, è una norma che avrebbe una sua logica, anche rispetto al principio del giudice", dice il capogruppo al Senato, Lucio Malan, che specifica di non aver avanzato proposte al governo. Gli fa eco il presidente dei deputati, Galeazzo Bignami: "Si stanno studiando soluzioni, ma troppa fretta non è detto che porti consiglio". Di certo c’è che tanto al ministero dell’Interno quanto a quello della Giustizia alzano le mani: "Non stiamo lavorando a normative del genere", tagliano corto dai due dicasteri.
Insomma: è una di quelle ipotesi che stanno lì senza che si capisca bene chi l’ha messa in giro e soprattutto quante possibilità abbia. Tra governo e magistratura è in atto una partita a scacchi. L’esecutivo ha spogliato le sezioni immigrazione dei Tribunali della facoltà di decidere sui richiedenti asilo, la magistratura si è limita a spostare i medesimi magistrati della sezioni immigrazione alla Corte dell’appello. La tentazione di una contromossa sullo stesso piano inevitabilmente c’è. Solo che non è facile tecnicamente ed è molto azzardata politicamente. Tecnicamente dicono gli esperti "tutto si può fare". Il problema è che con una mossa del genere si cammina sul ghiaccio sottile, perché si rischia di ledere il principio di autogoverno della magistratura. Politicamente il guaio può essere anche più grosso, proprio perché il governo finirebbe per fare la figura di chi lede l’indipendenza della magistratura, confermando così il sospetto che grava sulla riforma costituzionale che Giorgia Meloni e il guardasigilli Carlo Nordio hanno sempre negato.
Senza contare l’eventualità che un’invasione di campo di tale portata finisca nel mirino del capo dello Stato, incidentalmente anche presidente del Csm. Il problema è che qualcosa la maggioranza pensa di dover fare. Di qui il fermento dal quale in mancanza di altre opzioni è emersa la proposta in questione. La realtà è che con ogni probabilità la premier finirà per affidarsi alla Corte di giustizia europea: l’udienza che deve stabilire se i provvedimenti del governo sono in linea con la normativa Ue si aprirà il 25 febbraio.
Su quel tavolo Giorgia Meloni sa di poter giocare carte ottime, pur se non certamente vincenti. All’Europa il progetto messo a punto con Tirana piace, coincide con la strategia che un po’ tutti hanno deciso di adottare: non è escluso che la sentenza dia ragione al governo. Ma il tormentone, comunque vada, non finirà. La partita albanese è un tassello nel quadro di una disfida tra il governo di e la magistratura che si concluderà solo quando uno dei due finirà al tappeto.