Roma, 14 dicembre 2024 – Si scrive federatore, si legge premiership. Questo è lo scoglio intorno al quale ruota e si infrange la ridda di candidature ad aggregare quella gamba di centro del centrosinistra considerata fondamentale dagli ulivisti doc come Romano Prodi, ma che al tempo stesso cozza con la vocazione maggioritaria del Pd fondato da quegli stessi ulivisti. La candidatura alla guida del Paese alle prossime politiche non potrà infatti che essere espressione del Pd, nella persona della segretaria Elly Schlein. Anche se non è un mistero che tra gli stessi dem ci sia chi guarda con più fiducia in Paolo Gentiloni nell’intento di coprire di più e meglio l’elettorato moderato spaventato dall’impronta liberal della segretaria.
Certamente un’area elettorale di centro esiste effettivamente e il Pd non può permettersi di mandarla dispersa. Di qui l’intenzione di cercare di comporla e soprattutto aggregarla stabilmente alla coalizione. Ma qualsiasi, e quanto più autorevole, candidatura ad aggregare il centro tende ad allungare la propria ombra sulla premiership all’insegna della riproduzione dello schema prodiano. Anche se Prodi era Prodi e l’Ulivo era costituito da partiti di ben altra caratura, come lo stesso professore ha verificato sulla propria pelle.
Per quanto dica un secco "no" all’impegno diretto, le argomentazioni dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, espongono esattamente le argomentazioni di un impegno politico che guarda persino oltre la riaggregazione del centro, quasi un remake del prodismo. Primo suo sponsor, insieme a Pier Ferdinando Casini, il professore dice del dirigente: "È retto, capace, ma bisogna vendere se infiamma la gente". Della qual cosa chi lo conosce da vicino francamente dubita. E già qui si arena la sua candidatura.
L’eco mediatica intorno al nome di Ruffini appare tuttavia sintomatica di qualche movimento carsico. Il problema di come coprire l’area di centro "comunque si pone", riconoscono al Nazareno. Sorprende semmai sentir tornare in auge il tema, considerato archiviato, della partecipazione politica dei cattolici. Segno che evidentemente in qualche esponente della vecchia guardia post-Dc alberga qualche preoccupazione legata al profilo considerato troppo sbilanciato a sinistra del Pd schleiniano.
Nel Pd si confrontano trasversalmente due opzioni: chi sostiene che il partito i moderati li deve avere dentro e chi invece guarda con favore al consolidamento di una gamba centrista della coalizione. Le recenti prove elettorali hanno dimostrato che effettivamente il partito del Nazareno compra bene rispetto ai concorrenti di centro. D’altro canto per le politiche, dove il Pd non può contare sulle preferenze portate dalla propria classe dirigente di amministratori, non si può rinunciare a nulla. Paradossalmente, perciò, proprio la segretaria è quella che guarda con più favore all’aggregazione centrista, che subappalterebbe volentieri al sindaco di Milano Giuseppe Sala.
Semmai sono i diretti interessati che vorrebbero risolvere la questione da soli senza troppe interferenze da parte di un Pd da cui non si sentono amati. La formazione della giunta regionale emiliano-romagnola, ad esempio, è andata di traverso agli alleati moderati rimasti in sala d’aspetto. Matteo Renzi. che continua a blandire Schlein, a Sala preferisce come federatore il suo consulte per la sicurezza, l’ex capo della polizia Franco Gabrielli. In Azione sono invece convinti che "non ci vogliono" proprio per incompatibilità con l’indole e l’impronta della segretaria sul partito.
Carlo Calenda vede però con favore una candidatura alla premierhip di Paolo Gentiloni. L’ex premier, che si considera più come riserva per la (presidenza della) Repubblica, è corteggiato anche dalla minoranza riformista del Pd, che lo reputa più capace di far breccia nell’elettorato moderato e competitivo di Schlein. Che al momento ha evidenziale un solo, serio limite di "discontinuità di impegno" rispetto a quello h. 24-7/7 preteso da una leadership politica. Ma potrebbe presto esser chiamata agli straordinari dal referendum sull’autonomia, visto che una débâcle rischia di franare tutta addosso al Pd.