Inizia il count down sul caso Cecilia Sala. "Immediata liberazione" e "trattamento rispettoso della dignità umana", è la perentoria richiesta rinnovata ieri dal governo italiano alla Repubblica iraniana. Che frattanto ha convocato per oggi l’ambasciatrice Paola Amadei. L’accelerazione di Palazzo Chigi trova conforto nele rivelazioni sulle difficili condizioni di detenzione rivelate nelle telefonate della giornalista ai famigliari. "Per quanto riguarda Mohammad Abedini, che è al momento in stato di detenzione cautelare su richiesta delle autorità degli Stati Uniti – prosegue la nota di palazzo Chigi – il Governo ribadisce che a tutti i detenuti è garantita parità di trattamento nel rispetto delle leggi italiane e delle convenzioni internazionali". Col che il collegamento tra l’arresto a Teheran della 29enne giornalista italiana il 19 dicembre e il fermo tre giorni prima a Malpensa del 38enne tecnico/accedimico svizzero-iraniano è sancito ufficialmente. Oltre che diplomaticamente. E cadono i residui veli sulla cosiddetta "diplomazia degli ostaggi" praticata dal regime di Teheran, in cui la giornalista e e il governo italiani si sono probabilmente trovati coinvolti a loro insaputa. L’arresto di Abedini sarebbe insomma stata "un’operazione cotta e mangiata dell’Fbi, che ha lusingato qualche funzionario italiano", confidano fonti di governo rammaricandosi del "mancato coordinamento" tra apparati dello Stato che non ha consentito di mettere in sicurezza Sala e altri connazionali prima che si procedesse al fermo.
CONDIZIONI DI SALA Ieri sono filtrate rivelazioni sulle condizioni della giornalista italiana la cui madre, Elisabetta Vernoni, la incontrato la premier Meloni a seguito del vertice. Secondo quanto diffuso dal podcast di Sala, la giornalista si trova in un cella angusta e fredda, priva di materasso, con due sole coperte e la luce al neon fissa, privata di occhiali e libri di leggere, senza aver ricevuto generi di conforto che aveva consegnato l’ambasciata. Se tuttavia le autorità iraniane avessero voluto impedire la diffusione di queste informazione, lo avrebbero fatto sicuramente tra la prima e la terza telefonata ai famigliari. Ferma restando la preoccupazione per le condizioni di Sala, sembrerebbe che l’Iran voglia drammatizzare la situazione. Altro indizio di volontà di negoziare senza appesantire le imputazioni.
IL TRIANGOLO L’esecutivo si trova insomma al centro di una triangolazione con Teheran e Washington in cui è stato trascinata senza previa informazione da parte della autorità statunitensi. Anche per questo palazzo Chigi ha deciso di rompere gli indugi. La premier Giorgia Meloni "ha voluto che ieri tutti i ministri" dell’unità di crisi fossero presenti: Antonio Tajani per gli Esteri, il sottosegretario Alfredo Mantovano per la delega ai servizi e il guardasigilli Carlo Nordio, che avrebbe voluto partecipare in collegamento ma la premier ha preteso in persona. Palazzo Chigi invece vuol mandare a dire a Washingon che tutto l’esecutivo partecipa della vicenda, compreso il responsabile della Giustizia, che avrà l’ultima parola sull’estrazione di Abedini. Il fatto, tra l’altro, che sia stata la procura federale di Boston a chiedere l’arresto, anche se i reati contestati non contemplano la pena di morte, lascia margini per opporre un diniego nella sola eventualità che possa essere comminata. Tajani si augura "tempi non lunghi". E l’intenzione sarebbe risolvere la crisi entro l’insediamento di Donald Trump il 20 gennaio. Una mossa che consentirebbe di scaricare eventuali malintesi sull’amministrazione Biden.
LE OPPOSIZIONI Dopo il richiamo di Matteo Renzi, anche il resto delle opposizioni ha abbandonato l’undertatement e preso la parola. A cominciare dalla leader e il responsabile esteri del Pd, Elly Schlein e Peppe Provenzato, che chiedono al governo "condivisione" con le opposizioni delle iniziative per risolvere il vicenda. Al riguardo il sottosegretario Mantovano si è dichiarato pronto a riferire al Parlamento tramite il Comitato per i servizi. Le cui udienze sono però ovviamente secretate.