Mercoledì 5 Febbraio 2025
ANTONELLA COPPARI
Politica

Caso Almasri, oggi l’informativa. Ministri in aula, Meloni non va. Braccio di ferro sulla diretta tv

Tiene banco tutto il giorno la protesta delle opposizioni sulla mancata presenza della premier. Il Senato dice sì alle telecamere, Montecitorio tenta il no. Ma poi in serata si allinea.

Tiene banco tutto il giorno la protesta delle opposizioni sulla mancata presenza della premier. Il Senato dice sì alle telecamere, Montecitorio tenta il no. Ma poi in serata si allinea.

Tiene banco tutto il giorno la protesta delle opposizioni sulla mancata presenza della premier. Il Senato dice sì alle telecamere, Montecitorio tenta il no. Ma poi in serata si allinea.

La diretta tv ci sarà anche se per conquistarla l’opposizione ha dovuto combattere centimetro per centimetro. La premier invece no: lei non ci sarà e su quel fronte le insistenze della minoranza hanno sbattuto contro un muro. Giorgia non ha alcuna intenzione di legare la propria immagine a una vicenda dalla quale, per quanti sforzi di equilibrismo si possano fare, è impossibile uscire a testa alta. All’ora di pranzo nella conferenza dei capigruppo alla Camera il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ufficializza quello che era già noto a tutti: a riferire sulla scarcerazione e il rimpatrio accelerato del libico Almasri, inseguito dal mandato di cattura internazionale, saranno oggi alle 12.15 i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. Quelli direttamente coinvolti, che avrebbero dovuto dire la loro giovedì scorso: "In aula verranno due ministri molto importanti, in grado di dare risposte adeguate – spiega Ciriani – Il governo non scappa dal Parlamento, non c’è nessuna volontà dilatoria. È servito un approfondimento su ciò che si doveva dire in seguito a un fatto nuovo rilevante" (l’iscrizione nel registro degli indagati di quattro esponenti del governo, ndr)".

L’opposizione mastica amaro, ma accetta il diktat. Insorge invece quando, al momento di decidere la diretta tv, manca la necessaria unanimità: FdI non si oppone, la Lega e FI invece sì. I partiti di minoranza si scatenano, accusano la premier "di darsi alla fuga", di mirare solo a nascondere la vicenda. "Io in Parlamento sono sempre andato: Meloni è ricattata sui migranti? Venga a dirlo in aula". Stavolta il leader M5s, Giuseppe Conte non ha tutti i torti. I ministri hanno il mandato effettivamente non tanto di chiarire, quanto di chiudere il caso; la parola d’ordine dettata dalla premier in persona è netta e semplice: "Ora bisogna voltare pagina, basta con questo scontro permanente".

Al Senato però le cose vanno diversamente: con le agenzie di stampa che rigurgitano accuse di vigliaccheria, reticenza e opacità, i capigruppo di maggioranza non se la sentono di confermare il semaforo rosso. Lì la diretta della seduta che inizia alle 15.30 ci sarà. "Tanto sarà la meno seguita sul tema", dice il capogruppo forzista, Maurizio Gasparri. Situazione incresciosa perché con le telecamere spente a Montecitorio, saranno silenziati proprio i capi del centrosinistra (Schlein, Conte, Fratoianni) tutti deputati. Il sospetto di una manovra fatta apposta per togliere loro la parola dilaga e rende ancora più insostenibile il silenzio tv. Così, quando alla presidenza della Camera arriva una lettera firmata da tutti i capigruppo di opposizione per reclamare la riaccensione delle telecamere Rai, il presidente Lorenzo Fontana si fa in quattro per convincere i recalcitranti: "Che figura si fa se non ci allineiamo al Senato? In ogni caso, poco cambia: la seduta viene trasmessa dalle web tv della Camera". E alla fine porta a casa il sospirato sì. La diretta ci sarà, ma inutile aspettarsi qualche sorpresa.

La scelta di disertare l’aula da parte della premier è già più che indicativa e i discorsi dei ministri sono stati supervisionati e corretti dalla legale-senatrice Giulia Bongiorno. L’intenzione del governo è negare che si sia trattato di una decisione politica e trincerarsi, per quanto riguarda Nordio, dietro gli errori tecnici e "l’irritualità" della richiesta di arresto della Corte penale internazionale, che ha commesso "errori palesi". Piantedosi dirà che l’esecutivo ha agito a tutela della sicurezza nazionale quando ha deciso di non lasciare libero per le strade italiane un uomo noto per la sua pericolosità, rispedendolo su un volo di Stato in Libia.

I ministri dunque non dovrebbero alludere neppure indirettamente a "interessi superiori" dello Stato. Quelli su cui punteranno probabilmente nelle dichiarazioni i capigruppo che non mancheranno di far riferimento all’intervista rilasciata ieri da Marco Minniti, ex ministro dell’Interno Pd e papà del memorandum con la Libia voluto dal governo Gentiloni e confermato dagli esecutivi Conte e Meloni. Perché l’intera vicenda in fondo si spiega con una sola esigenza: difendere, costi quel costi, quell’accordo con i signori della guerra libici come lo stesso Minniti consiglia di fare.