Roma, 30 ottobre 2024 – “Ma come dobbiamo stare?”, rispondono dagli uffici parlamentari dem. Le giustificazioni di sono tutte: la manciata di voti di differenza e l’imperfezione della coalizione. Ma sono esattamente anche gli argomenti che potrebbero essere rimproverati al gruppo dirigente (ligure e nazionale) dallo sconfitto con onore Andrea Orlando alla segretaria Elly Schlein. Adesso però incombono le prossime elezioni in Emilia-Romagna e Umbria. Tramontato il sogno del triplete, rimane la speranza di ribaltare i rapporti a favore dell’opposizione, strappando l’Umbria alla anomala maggioranza a guida leghista, dato che il risultato dell’Emilia-Romagna non è minimamente in discussione. Ma già si profila all’orizzonte il 2025, con le elezioni in Campania e Puglia, dove i fedelissimi della segretaria non dovrebbero vedere palla e nella Toscana che balla. Come ampiamente pronosticato sarà quello il turning point della gestione dem: vivere o morire al Nazareno.
Sennonché non si è neanche riunita una segreteria dem per elaborare il risultato nella regione andata al voto anticipato per l’arresto e poi il patteggiamento del governatore di centrodestra Giovanni Toti. Nonostante l’ufficiale consegna del silenzio, l’analisi del voto è rimessa alla pletora di dichiarazioni pubbliche dei maggiorenti, che non si scomodano però a trovare un momento per confrontarsi. A detta degli stessi funzionari dem, del resto, la segreteria del partito è un organismo elefantiaco che “non ha nessuna autorevolezza”. “Il Pd è al 28,5%. Abbiamo dato il massimo. Siamo consapevoli che non bastiamo, ma scontiamo anche le difficoltà degli altri”, sostiene con qualche ragione la segretaria del Pd congratulandosi per la prova di Orlando. Che a detta di alcuni esponenti locali ha scontato però un difetto caratteriale di superbia da politico rispetto alla mitezza del civico Bucci.
Il punto dolente riguarda ovviamente la coalizione che non copre al centro, come lamenta il sindaco di Milano Beppe Sala e rilancia Goffredo Bettini. “Purtroppo sono prevalsi i veti”, osserva il senatore della minoranza riformista Alessadro Alfieri. Secondo il quale “ai veti è seguito un errore politico: pensare che si dovesse scegliere tra il 6% di Conte e il 2% di Renzi che si leggevano nei sondaggi”. Questione che, non solo per la minoranza dem, riguarda non tanto la delega all’ex premier per rappresentare i centristi quanto la capacità espansiva del Pd stesso verso aree moderate, imprese, partite Iva, rispetto all’abito dato al partito dall’attuale segreteria. Questione non infondata, dal momento che, nella crisi generale di partecipazione, la rappresentanza di Pd, M5s e Avs tende a sovrapporsi ma non si somma. Ora i riflettori sono puntati sulla coalizione extra large in Umbria. Se fallisse anche questa formula, diventerebbe ancor più evidente che in politica i problemi di coalizione non si risolvono spartendo i campi di rappresentanza.