Martedì 24 Dicembre 2024
RAFFAELE MARMO
Politica

Goffredo Bettini (Pd) e il campo largo: "Non cooptiamo Italia viva. Serve nuova forza liberale alleata della sinistra"

L’ex eurodeputato: “Schlein sta facendo bene, ma si può criticare. Per vincere contro il centrodestra ci vuole un partito pluralista e critico. Bisogna riaccendere la speranza di creare un mondo più equo"

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini, nelle due coalizioni tutti alla ricerca del fantomatico centro. Si vince al centro, dunque, come lei aveva ipotizzato tempo fa?

"Si vince rafforzando il Pd, un partito pluralista, critico, con una vocazione di governo – esordisce netto colui che è considerato il grande vecchio della sinistra, il suggeritore-regista di tanti passaggi del Nazareno e non solo –. Personalmente sono anche impegnato a definire meglio e ad allargare un’area di sinistra, presente ma frammentata. Dall’89, in Occidente, si è spenta la speranza di un mondo più umano e più giusto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, crisi democratica e guerra".

Ma il Pd conserva più anime e più vocazioni.

"Nel Pd stanno insieme diverse sensibilità e culture. È un partito ispirato all’unità e alla Costituzione. Sarebbe la sua fine abbracciare una logica e una pratica frontista. Anzi, penso che mai come in questo momento una gran parte del mondo cattolico sappia interpretare le ansie esistenziali e gli interrogativi dell’umanità. A partire dalla guerra e dal limite che devono mantenere molti comportamenti umani. Poi, come ho detto anzitempo, questo Pd deve allearsi con il resto della sinistra, con il M5s e con un’area liberale e di centro che superi le divisioni che l’hanno resa impotente. D’altra parte, di fronte alla destra estrema, Mélenchon ha aiutato Macron e viceversa".

L’apertura di Renzi, però, porta molti problemi al Nazareno.

"Schlein ha spinto giustamente per superare i veti. È un’affermazione di enorme valore politico, perché abbiamo alle spalle lacerazioni tremende che non si risolvono all’improvviso. Consiglio, tuttavia, vivamente di aprire un processo serio, graduale, da sperimentare via via sui territori. A partire dalle prossime elezioni regionali. Occorre rispetto reciproco, collegialità nei passi che si compiono, un confronto autentico, sincero, comprensibile e non improvvisato".

Serve gradualismo, insomma, dopo tante rotture?

"Non si tratta di cooptare Renzi. Non è neppure un suo interesse. E comunque, se fosse così, si porterebbe dietro pochi elettori. Piuttosto lo stesso Renzi, con la sua storia complessa, di strappi, di vittorie e di sconfitte, ha detto di non voler stare in prima linea come finora sempre accaduto. Ha persino invocato una nuova Margherita, con in campo giovani promettenti e anziani autorevoli. Partiamo dalle sue parole. E spingiamo affinché mantenga la disponibilità per un progetto liberale ambizioso, che rimetta in moto un’intera classe dirigente. A queste condizioni si potranno verificare le convergenze possibili, senza sorprese o allarme nei nostri alleati. Da Fratoianni a Conte".

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"I media hanno messo in risalto il carattere personale e spettacolare di questa apertura, dandone un’impressione che secondo me va corretta. La Schlein, lo ripeto in ogni occasione, sta facendo molto bene. Quindi assolutamente non va toccata, nel senso che deve rimanere dove sta. Se, invece, si intende non criticabile, non sono d’accordo. Anche Togliatti fu messo in minoranza nella direzione del Pci. Per non parlare di Moro".

Antonio Tajani rivendica la centralità di Forza Italia: crede che alla fine il partito fondato da Silvio Berlusconi resterà con Giorgia Meloni?

"È difficile dire, ma propendo per il sì. Berlusconi ha fondato la destra italiana. Ne è stato l’artefice e il garante. Ha allontanato ogni manifestazione autenticamente innovativa rispetto al suo progetto. Penso a Fini, un uomo di grande intelligenza e coerenza. Lui ha fatto quello che la Meloni non può e non vuole fare. Tagliare definitivamente con il fascismo e abbracciare del tutto la democrazia. Ecco perché nel quadro di oggi, così arretrato, vedo la possibilità e la necessità di un soggetto liberale, rinnovato e radicato, nel campo dell’alternativa. Ora, per certi aspetti, è più facile rispetto al passato. L’ipercapitalismo mondializzato, così ingiusto e lacerante, confligge con il potere e il ruolo delle istituzioni repubblicane. Questo non preoccupa solo i progressisti, ma ogni mente libera, liberale e libertaria".

In casa 5 Stelle, d’altra parte, anche Giuseppe Conte sembra scontare problemi.

"Conte ha trasformato il M5s. Ha governato molto bene l’Italia con il Pd. Ha sostenuto Draghi finché lo ha ritenuto possibile. Anche dopo non si è lasciato trascinare dal risentimento. Senza di lui, secondo me, il M5s non esisterebbe più. Conte ritroverà il bandolo della matassa; mantenendo il suo partito intransigente, combattivo e allo stesso tempo indispensabile per costruire un governo, eletto dal popolo. Non tecnico, nominato dall’alto, o con tutti dentro".