"Prendiamo atto". Ma per il Nazareno il voto con cui il Consiglio regionale della Campania ha autorizzato il governatore Vincenzo De Luca a una terza investitura "non cambia di un millimetro la posizione del Pd sul limite dei due mandati". Il partito "non supporterà presidenti uscenti che hanno già fatto due mandati", ribadisce in serata la segretaria Elly Schein.
Il divorzio tra i dem e il vulcanico presidente campano è insomma sancito. Mancano giusto le carte bollate, certo non l’astio. A De Luca il voto in Regione col sostegno blindato della maggioranza e di tutto il Pd, eccetto una sola defezione. Alla leadership dem la consolazione di aver sgombrato il campo dagli equivoci dando prova di non flettere sulla persistenza dei potentati locali. "Le regole valgono per tutti – sentenzia la segretaria –. Se qualcuno era abituato diversamente, è bene che si adegui al cambiamento, perché io sono stata votata per questo".
Apparentemente senza rimpianto, se non con reciproco senso di liberazione, ognuno andrà quindi per la propria strada dalle prossime elezioni regionali in programma nell’autunno 2025. "Vincenzo De Luca non sarà il candidato presidente sostenuto dal Pd", sancisce la nota diramata dal responsabile organizzazione dem Igor Taruffi immediatamente dopo il voto della Regione. Il che non allevia i danni provocati dai tempi e i metodi della diatriba campana, deflagrata a due settimane dal voto in Emilia-Romagna e soprattutto in Umbria, che il centrosinistra vorrebbe riconquistare dopo la delusioni per il mancato successo nella Liguria che pareva alla portata dopo la scandalo che ha provocato le dimissioni di Giovanni Toti.
L’ex governatore Stefano Bonaccini, che avrebbe apprezzato un terzo mandato anche per sé a Bologna invece di traslocare a Bruxelles, cerca di mitigare i contrasti interni: "Si vota tra un anno e non tocca adesso stabilire il candidato – dice – Mi concentrerei su Emilia-Romagna e Umbria ora". Ma lo scontro all’ombra del Vesuvio è destinato a protrarsi aldilà del voto sul terzo mandato incassato da De Luca e sconfessato dalla segretaria. Non solo perché c’è ancora un anno di legislatura regionale, in cui non sarà chiaro quanto il Pd schleiniano potrà contare sul proprio gruppo consiliare, a parte l’astenuta Bruna Fiola. Ma soprattutto in vista della costruzione della coalizione per le prossime elezioni.
Che il Pd sia un partito regionalizzato a dir poco e suddiviso in conventicole e potentati "non è una novità", come rilevano i parlamentari conversando a Montecitorio. Al congresso, del resto, quasi tutti i vertici regionali (eccetto il deputato Marco Sarracino) avevano votato Bonaccini contro Schlein. E ora la corda è tesa. L’accelerazione voluta da De Luca contro la segretaria, che esortava perlomeno a rinviare il voto e lo scontro a dopo le regionali, ha il sapore di una rottura calcolata in ottica futura. Mario Casillo, capogruppo del Pd in Regione e presentatore della controversa legge, incassato il risultato si prodiga in convenevoli all’insegna del primato dell’alleanza. E anche Schlein, da Roma, cerca di spostare lo sguardo in avanti all’insegna dell’indefessa testardaggine unitaria per "costruire il ‘dopo’, con un programma chiaro che valorizzi anche le cose buone fatte e punti al futuro". E agggiunge: "Non abbiamo strumenti per espellere e stracciare tessere".
La norma voluta da De Luca sancisce però l’intenzione di ricandidarsi del governatore con una propria coalizione. E il cornetto rosso scaramantico sfoggiato dopo il voto per ridere del risultato con gli alleati di Italia viva certifica questa intenzione. Anche se non è detto che basti a scongiurare la possibile impugnazione del provvedimento paventata per Fratelli d’Italia da Edmondo Cirielli e suffragata dagli azzurri Maurizio Gasparri e Paolo Barelli, "certi" che il governo si varrà presso la Corte costituzionale.