Berlusconi non molla. Al Quirinale ci crede: "Vi garantisco che i voti ci saranno", assicura agli alleati. Bloccando di fatto qualsiasi manovra di Salvini e della Meloni. Prima della strategia, viene il pallottoliere. E siccome nei numeri che sciorina (150 grandi elettori oltre il perimetro della coalizione) c’è di tutto, e di certezze, in un Parlamento in cui nessuno controlla alcunché, non ce sono. Se ne riparlerà a metà gennaio, prima che la sfida inizi davvero: "Se i miei calcoli saranno confermati, mi candido". Ecco la portata principale del pranzo a Villa Grande, dove il Cavaliere mette intorno al tavolo – con Gianni Letta – i leader di Lega e Fd’I, La Russa, Lupi, Toti, Cesa, Tajani, Giacomoni, Ronzulli. E chiede loro lealtà. Su un punto, l’accordo è totale: nessuna divisione, candidato unico. Se poi sarà il padrone di casa, lo diranno i numeri. Perché se è vero che il capo di FI ci spera e ci lavora, è anche vero che non vuole farsi umiliare con una sonora sconfitta in aula.
Nessuno mette la mano sul fuoco sull’appoggio dei centristi e tanto meno di Renzi: "Fa solo il suo gioco". Così, la Meloni chiarisce: "Se l’operazione non dovesse andare in porto, non è che poi ognuno va per conto suo o qualcuno tratta per me. Non voglio subire scelte altrui. Per capirci, l’idea di chiedere a Mattarella un secondo mandato è inaccettabile. Serve una regia permanente". Il centrodestra sa che una sua vittoria, specialmente se l’eletto fosse Berlusconi, significherebbe crisi di governo ma, almeno ufficialmente, pare disposto a pagare il prezzo. Nel momento in cui Silvio dovesse fare un passo di lato, la parola passerà a Letta, Salvini e Conte. Solo con una totale convergenza dei tre sarà possibile eleggere un presidente senza sfasciare tutto, aprendo la crisi. Su Mario Draghi?
lI nome più papabile di quella convergenza è il suo, benché tra gli scommettitori paiono salire le quotazioni di Giuliano Amato. La destra per ora resta contraria a Supermario, ma la vera linea emergerà solo quando sarà risolto il caso Berlusconi. "Che succederà se il premier chiederà alla sua maggioranza di essere eletto al Quirinale? – insiste la Meloni – Per noi non è un problema, siamo all’opposizione, ma per voi?". Per il Cavaliere accettare Draghi sarebbe più difficile che per gli altri. Mercoledì ha vissuto la conferenza come una sfida personale. Urge rabbonirlo e forse i chiarimenti del premier sulla sua "autocandidatura" con Salvini (che incontra in mattinata), ma non solo con lui, hanno questo obiettivo: "Ho illustrato la situazione". E il leghista di rimando: "Mi impegno per arrivare a un voto condiviso. Si parte però da destra".
La partita è agli esordi: dalla nascita della Repubblica in poi, l’elezione del capo dello Stato ha sempre avuto enorme importanza nei confini nazionali ma senza particolare eco all’estero. Stavolta è diverso. La bocciatura di Draghi o l’incoronazione di Berlusconi avrebbero ripercussioni inevitabili tanto all’estero quanto sui mercati. Anche per i partiti italiani abituati alla massima autoreferenzialità, non tenerne conto sarà impossibile.