Roma, 21 agosto 2018 - Anziché sbrogliarsi il nodo della nazionalizzazione di Autostrade s’aggroviglia. La maggioranza si spacca sul punto ma nemmeno la Lega riesce a trovare una voce univoca. Giorgetti, l’uomo dei conti del Carroccio nonché sottosegretario alla presidenza del Consiglio, avanza dubbi sull’opportunità di riportare sotto l’ombrello statale la rete autostradale italiana, spiega che non lo convince affatto l’idea; al contrario, Salvini, si mostra possibilista. Non chiude affatto alla linea su cui si sono attestati a caldo i 5 Stelle. «Stiamo studiando e lavorando», dice il leader leghista a chi gli chiede lumi sulla statalizzazione che, per il ministro delle infrastrutture Toninelli, «è conveniente e più sicuro» ma per il collega pentastellato Buffagni «non è la strada giusta». All’opposizione non resta che cercare di incunearsi fra le fratture della maggioranza. «Il governo è nel caos», sottolineano all’unisono Pd e Forza Italia dopo aver dichiarato la propria contrarietà alla alla statalizzazione.
In realtà, l’intera vicenda del crollo del ponte Morandi è un labirinto da cui il governo cerca di trovare un filo per uscirne. Chi descrive meglio di tutti le criticità della situazione è proprio Giorgetti: «Prima di nazionalizzare bisogna revocare, se si arriverà alla fine della procedura». Condizione cruciale per andare avanti nella strada tracciata da M5S è l’annullamento della convenzione sottoscritta con Autostrade per 3.000 chilometri di strade (cui bisogna aggiungere gli altri 3.000 gestiti da aziende diverse). Di sicuro la procedura standard si prospetta lunga: di qui l’ipotesi di intervenire con una legge o, piuttosto, con un decreto legge (all’ora di cena si è diffusa la voce che il governo stia seriamente pensando a questa strada). Scorciatoia comoda ma che, secondo il sottosegretario leghista, non si può percorrere: «Non ne vedo i termini». Una legge, fa notare un esperto del settore come l’avvocato Mazziotti (+Europa) , «sarebbe palesemente incostituzionale in quanto interverrebbe retroattivamente su un contratto in essere e sarebbe utilizzata per risolvere un caso specifico, cosa che la Consulta ha già bocciato». Quanto al decreto «mancano del tutto i requisiti di urgenza». Comunque: il problema legale si intreccia con quello della ricostruzione «rapida» del ponte crollato. Già: il fattore tempo è molto importante. Bisogna fare presto: ne va dell’attività di uno dei porti – quello di Genova – più importanti del Paese, fondamentale per l’economia della città e probabilmente di tutto il Nord Ovest. I vertici di Autostrade hanno promesso che ricostruiranno in 8 mesi il ponte: ma l’opera sarebbe comunque portata avanti a fronte di una una guerra in tribunale con lo Stato? Mettiamo pure che il governo vinca questa partita e poi decida, comunque, di aprire una nuova gara per la gestione della rete autostradale: quanti imprenditori si sentirebbero di gareggiare con la spada di Damocle di una revoca che – vinto l’appalto – gli resta comunque sulla testa? Dubbi e interrogativi all’ordine del giorno.
Ecco perché il pragmatico Giorgetti mette le mani avanti, spingendo il piede sulla modifica della convenzione. «È doveroso che venga rivista. Il regime di redditività mi sembra leggermente spropositato. E questo non vale solo per Autostrade, anche per chi estrae le acque minerali». Di qui la promessa di mettere mano all’intero settore. In questo quadro, spiccano le perplessità del sottosegretario sulla nazionalizzazione. «Non sono molto persuaso che la gestione dello stato sia di maggior efficienza». Parole che arrivano fino al Quirinale, al lavorio del leghista più istituzionale.
Guarda caso: il titolo Atlantia, precipitato a piazza Affari a meno 10%, dopo l’uscita di Giorgetti si arrampica a meno 4,6%. Da notare che se si annullasse la concessione ad Autostrade («con i privati c’è più sicurezza», dicono i vertici), gli oneri per lo Stato sarebbero alti, fino a 20 miliardi, con aggravi notevoli in una situazione economica difficile, con una finanziaria che già veleggia intorno ai 25 miliardi. Ragion per cui Giorgetti non esclude di sforare il tetto del 3% di deficit «per realizzare un grande piano di manutenzione e di opere pubbliche».