Roma, 11 luglio 2019 - Alla fine, è un problema soprattutto di soldi. Come sempre. Lo strappo (doloroso) sull'Autonomia delle Regioni che si è consumato all'interno della maggioranza vede al centro le risorse con cui finanziare le nuove competenze dei territori. Da una parte, la Lega che spinge per ottenere il massimo possibile (entro i paletti costituzionali) per i propri governatori di Veneto e Lombardia (con l'Emilia-Romagna che ha una richiesta leggermente più soft); dall'altra i 5 Stelle che ora si scoprono difensori dell'unità nazionale e degli equilibri tra le Regioni, preoccupati del contraccolpo che potrebbe arrivare dagli elettori del Sud.
Richieste da Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Campania
Sono quattro le Regioni che si sono rivolte allo Stato centrale per avere competenze sulle materie concorrenti. L'ultima in ordine di tempo è la Campania, che ha chiesto "forme particolari di autonomia" su 7 materie, tra cui spiccano Istruzione e formazione professionale e Sanità, in entrambi i casi però compatibilmente con "il carattere nazionale" sia della scuola pubblica sia dell'organizzazione del servizio sanitario.
Un approccio light, soprattutto rispetto agli altri territori: il Veneto, infatti, punta al trasferimento di tutte e 23 le materie su cui è possibile fare richiesta; la Lombardia ne vuole 20, l'Emilia-Romagna 'solo' 15. Oltre a quelle già citate, parliamo di competenze come la tutela dell'ambiente e del lavoro, i trasporti, il governo del territorio e la Protezione civile, i beni culturali, e così via. Si parla di trasferimenti di risorse ingenti, anche se variano a seconda delle materie, con l'idea di trattenere sui territori parte delle imposte che oggi incassa lo Stato centrale. Una quantificazione precisa non è facile, tempo fa si era parlato di rapportare i soldi per la Scuola, ad esempio, non al numero di iscritti (come è oggi) ma al Pil generato dalla Regione in esame, premiando così i territori più produttivi.
Autonomia scolastica, differenziata e salari
E proprio la Scuola sarebbe uno dei temi caldi su cui si è consumata la rottura tra gli alleati. Nell'ultimo summit, infatti, la Lega avrebbe riproposto la regionalizzazione dei concorsi scolastici, tema su cui si era arenata anche la precedente riunione. Dal fronte pentastellato si è alzato un muro, in particolare per quanto riguarda la ripartizione delle risorse. Il Carroccio chiederebbe l'utilizzo su base regionale dei risparmi realizzati in virtù delle buone pratiche, principio che penalizzerebbe i territori più in difficoltà.
L'altro tema che 'spaccherebbe' l'Italia (e, intanto, ha spaccato la maggioranza) è il ritorno delle gabbie salariali, ovvero, sintetizzano dal Movimento 5 Stelle, "alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al Centro-Sud", riparametrandoli al costo della vita. Ultimo scontro sull'Ambiente: il ministro Sergio Costa, in Commissione bicamerale per gli Affari regionali, ha detto 'no' alla richiesta delle Regioni di pieni poteri in tema di rifiuti e danno ambientale. Ha aperto, invece, a modifiche per quanto riguarda le bonifiche e alcune altre competenze amministrative.
Che cosa sono le gabbie salariali?
Questo sistema fu introdotto in Italia nel 1945 con un accordo tra industriali e organizzazioni dei lavoratori. Entrate in vigore l'anno successivo, le gabbie salariali all'inizio furono previste solo al Nord, ma poi vennero estese a tutto il Paese. In origine, la divisione era in quattro zone, ma tra gli anni '50 e '60 passarono prima a 14 (!) e infine a 7. Furono abolite tra 1969 e 1972, dopo una dura battaglia dei sindacati che ne sottolineavano il carattere discriminatorio. Comunque la si pensi, sarebbe un ritorno al passato.