Roma, 14 dicembre 2024 – “Li-ber-tà, li-ber-tà, li-ber-tà...”, scandisce trasportato il pubblico in risposta al triplice “Viva la libertad, carajo!” con cui il presidente argentino Javier Milei conclude a squarciagola il proprio intervento dottrinario di fronte alla folta platea di Atreju. Eppoi, languide, le note di Last Christmas di George Michael.
C’è la summa della festa di Atreju nel contrasto tra il tono perentorio quanto le basette del presidente argentino e la canzone natalizia degli Wham!; che risuona ogni due per tre tra gli stand, i tendoni e le sale dibattiti del Circo Massimo. C’è la rifondazione della destra voluta da Giorgia Meloni con non molti irriducibili, che nell’arco di pochi anni è diventata partito di governo euro-atlantista che non indossa il doppiopetto perché non è fatto di benestanti, ma sciorina camicie azzurre, cappotti e piumini all’insegna del blu per i signori e del bianco per le giovin signore più à la page. Una marea blu notte punteggiata di bianco, con qualche screziatura cammello e bordeaux, oltre al granata delle felpe dei volontari.
Un partito dal consenso di massa ormai. E che quel consenso coltiva. Che offre stand gastronomici di tutte le tipologie e pista del ghiaccio per i piccini alle famiglie, ma neanche nella Roma della premier attrezza una ristorazione né propone un cineforum o una libreria con più di una manciata di volumi. Una forza conservatrice che si perita di invitare numerosi esponenti del Pd (dall’ex ministro Minniti per parlare di migranti e piano Mattei all’ex segretario Martina per discutere di alimentazione, anche se la segretaria Schlein ha dato forfait) e il sempre accattivante Giuseppe Conte, intrattenendo il pubblico in un fittissimo programma di dibattiti all’insegna dei tempi televisivi da 60 minuti, ma altrettanto privi di coraggio e sorprese.
Giorgia Meloni si presenta per accogliere Milei, che si sente giustamente “a casa” davanti alla platea e al Circo Massimo stesso. Il presidente argentino non lesina le proprie simpatie per l’antichità classica foriera di tutte le virtù occidentali. Il suo intervento, anzi, è un vero e proprio decalogo per decantare le ragioni di una “causa giusta e nobile” com’è quella dell’Occidente civilizzatore. Tanto da citare persino il deprecato, “zurdo”, Lenin riguardo al fatto che senza una teoria rivoluzionaria non può esserci una pratica rivoluzionaria. Che in questo caso sarebbe quello di un nuovo internazionalismo della destra liberista che spira dal continente americano all’Europa all’insegna del contrasto a ogni forma di sussidio pubblico e la deregolamentazione economica.
Prima del presidente argentino la sala era già piena per Giuseppe Conte. Il Brian Ferry dei 5 Stelle ha sciorinato tutto il suo repertorio di seduzione gigiona di fronte alla platea di Atreju, a cominciare dal rifiuto delle regole di ingaggio che vietavano il fischio, ottenuto solo per cortesia. Il resto è all’insegna dei convenevoli. Conte si dice contro la sinistra delle pregiudiziali antifasciste (appalusi) e della Ztl (altri applausi), ma non lesina critiche alle “piroette” e gli omissis del governo Meloni riguardo allo stato di sofferenza di imprese, sanità, scuola e famiglie. In quanto al rapporto col Pd, l’ex premier approfitta della platea di governo per rivendicare che i 5 Stelle “non saranno mai junior partner” né alleati “organici” della coalizione di centrosinistra. La cui alleanza rimanda “a tempo debito”.