![Antonio Patuelli, 74 anni, è presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi). e presidente de La Cassa di Ravenna Antonio Patuelli, 74 anni, è presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi). e presidente de La Cassa di Ravenna](https://www.quotidiano.net/image-service/view/acePublic/alias/contentid/YzhkZTg3MjEtMWEwMS00/0/antonio-patuelli-la-forza-delleuropa-unita-e-largine-allincertezza.webp?f=16%3A9&q=1&w=1280)
Antonio Patuelli, 74 anni, è presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi). e presidente de La Cassa di Ravenna
Per capire cosa accade in casa nostra, secondo una regola non scritta e oggi ancora più valida, occorre guardare agli Stati Uniti. A questo assunto Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi), aggiunge una profondità storica. Perché "bisogna avere la consapevolezza del passato per capire il presente e per costruire l’avvenire", argomenta in un colloquio con Agnese Pini, direttrice di QN-Quotidiano Nazionale (il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno e Luce!).
L’America, dunque. Che, "nata federale, nel 1917, ha dovuto guardare alla vecchia Europa non più da lontano, visto che la Prima guerra mondiale rischiava di fare prevalere quelli che si chiamavano imperi centrali". Un’attenzione rimasta tale anche dopo il secondo conflitto, con un lungo dopoguerra distinto in due fasi, l’ultima delle quali "ha visto una grande espansione dell’Occidente e della Nato, coincisa con la cosiddetta globalizzazione". Il punto però, per Patuelli, è che conclusa anche questa fase, gli Usa "già con Obama e ora a maggior ragione con Trump, sono tornati a guardare a loro stessi con un ruolo che oggi non è più quello globale, ecumenico, di protezione dell’Occidente".
In quest’ottica andrebbe letta anche la nuova spinta americana sui dazi. Poiché "la caduta di ideologie dogmatiche a sfondo autoritario, tipiche del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, si è portata via anche il dibattito sulla cultura delle idee e delle culture democratiche, aprendoci a una fase di pragmatismo che diventa egoismo quando prevale sui principi". Un evento rischioso, spiega Patuelli, oltre che per la società anche per l’economia. "Gli effetti sui mercati del solo annuncio di fenomeni o decisioni probabili, ma non ancora emesse, produce una situazione di incertezza e di calo della fiducia".
L’argine? Per il presidente di Abi è una lucida freddezza nel "non cadere nella trappola della comunicazione immediata e delle emozioni". Anche sul protezionismo commerciale: "Sono andato a vedermi i testi del più illustre federalista italiano che è stato Carlo Cattaneo, e che ha definito i dazi e l’economia statica come l’opposto di una società che punta sullo sviluppo di tutti e ha nella libera circolazione delle merci uno strumento fondamentale". I dazi, per dirla in breve, "non hanno mai risolto i problemi, ma piuttosto li hanno aumentati".
Ma riusciranno l’Ue e il suo mercato comune, chiede Pini, a non farsi dividere dalle dichiarazioni e dagli obiettivi dichiarati di Trump? "C’è già qualcuno – fa presente Patuelli – che da tre anni prova a dividere l’Europa e si chiama Putin". La sua arma era la fornitura di gas, dalla quale eravamo dipendenti. "Ma gli italiani hanno molti limiti ma sono flessibili e veloci – ragiona il presidente di Abi –. Così sono riusciti a differenziare i propri approvvigionamenti in modo efficace e quindi a non essere più dipendenti dal gas e dal petrolio russo". Siamo stati capaci di sfuggire ai tentativi russi di metterci all’angolo. Guardando ancora oltreoceano, infine, "è pur vero, sottolinea il banchiere, che "dalla Liberazione in poi l’Italia ha visto solo governi che avevano ottimi rapporti con gli Stati Uniti".
Tanto più che il gioco europeo è meno polemico di quello nostrano. "Sono stato di recente a Bruxelles e non ho trovato echi delle polemiche di casa nostra, bensì la consapevolezza di vivere in questo condominio europeo di cui si conoscono le regole e nelle regole si partecipa". Dunque, la risposta a Trump, come è stato per quella a Putin, non può essere che nell’Ue. Una realtà che "quando è unita fa paura, perché ha una forza economica, una moneta competitiva e anche una rappresentanza di popolazione di cui è bene tenere conto", poiché abbondantemente superiore a quella di russi e americani.
È ancora valido, concordano Pini e Patuelli, il discorso che Alcide De Gasperi tenne a Parigi nel 1954, individuando il socialismo, il liberismo e il cattolicesimo non confessionale alle radici di quella che sarebbe diventata l’Unione europea. Ne consegue l’importanza di una memoria storica, che "ci immunizza dal ricadere in errori mai identici ma talvolta simili". Dunque, anche nella società tecnologica in cui viviamo, "l’Europa non deve mai dimenticare le varie crisi poi superate" nell’obiettivo di una "rigenerazione di una democrazia costituzionale ed economico-sociale".
Una rigenerazione che è "un processo continuo" e che dev’essere "centripeto, non centrifugo" e che migliora in corso d’opera il funzionamento delle democrazie con le regole del costituzionalismo. Si tratta di "pilastri fondanti – conclude Antonio Patuelli – per arrivare a nuove forme di democrazia che non sono la post-democrazia, ovvero il superamento del binomio tra democrazia e libertà. Un legame inscindibile, quest’ultimo, perché una democrazia senza libertà è monca e povera".