Roma, 7 aprile 2024 – In principio furono le primarie del Pd – anzi, del Pdmenoelle – del 2009, alle quali Beppe Grillo avrebbe voluto partecipare per "rifondare un movimento che ha tolto ogni speranza di opposizione a questo Paese, per offrire un’alternativa al Nulla". L’occasione tuttavia gli fu negata, tra ironie e inviti a farsi un partito tutto suo, e nacque così il M5s, sempre con la stessa ambizione: mandare a quel paese la sinistra ritenuta incapace di opporsi alla destra e soprattutto al berlusconismo. Quella sinistra che aveva tradito gli ideali della propria giovinezza.
Da quel momento in poi, di fronte all’accusa infamante di essere venuta meno alle promesse fatte innanzi al popolo, il Pd ha dovuto sempre rincorrere l’avversario populista, coltivando al contempo un senso di colpa profondo per le proprie mancanze. "C’è l’idea che la sinistra, non potendo recuperare direttamente il rapporto con i ceti popolari, lo debba fare attraverso il M5s", ha spiegato una volta Fausto Raciti. E dire che il M5s ha menato fendenti sul Pd fin dalla sua nascita. Impossibile dimenticare la "Piovra del Pd", lanciata da Alessandro Di Battista con l’elenco degli "indagati di turno" del partito che fu di Walter Veltroni, Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi eccetera eccetera. E pazienza se poi quegli indagati venivano assolti, l’importante era esporli il pubblico ludibrio dell’Internet, e lì lasciarli. Dal punto di vista del giustizialismo, peraltro, non è cambiato molto, nonostante vari tentativi di romanizzazione dei barbari.
Impossibile dimenticare anche l’epoca dello streaming, quando nel 2013 Bersani, allora capo del centrosinistra italiano, fu sbeffeggiato da Grillo nel tentativo di far nascere un governo che mai si sarebbe potuto formare. Solo più tardi i Cinquestelle avrebbero scoperto il fascino del potere e del compromesso col “partito di Bibbiano”, con il quale peraltro Luigi Di Maio un tempo aveva detto che mai, e ripetiamo mai, ci sarebbe stato alcun accordo. La storia è andata molto diversamente. Grazie anche al CamaleoConte, al secolo Giuseppe. Ex presidente del Consiglio di due governi di segno politico opposto: uno di destra (con la Lega), l’altro di sinistra (con il Pd). Nonostante l’ondivaghezza del capo del M5s, colui che è riuscito a portare via il partito all’annoiato ex comico Grillo e al figlio di Gianroberto, Davide, ecco, nonostante le piroette per tutto l’arco costituzionale dell’ex presidente del Consiglio, nel 2019 Nicola Zingaretti, allora segretario del Pd, riuscì a definire Conte "un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste" (ed era lo stesso Conte progressista che aveva già firmato i decreti sicurezza dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini). Una frase che probabilmente inseguirà l’ex presidente della Regione Lazio per i prossimi vent’anni.
La vita repubblicana del centrosinistra degli ultimi 15 anni è stata caratterizzata anche dal rapporto tra gli eredi della tradizione post-comunista e cattolico-democratica e i populisti, con numerose intersezioni nel segno del moralismo politico e giudiziario. Il progetto ipotizzato da Bersani è stato realizzato solo dopo dai teorici della "casa comune", diventato poi "campo largo", se non larghissimo, da Dario Franceschini a Goffredo Bettini. Abili professionisti della politica che vengono sorpassati a destra e a sinistra dal capo del M5s, come si capisce ancora una volta dal caso Bari, che poi è anche un caso Puglia. Un utile pretesto per Conte, che non vuole le primarie da nessuna parte, per non istituzionalizzare uno strumento di selezione che rischierebbe, per lui, di essere il metodo per individuare la leadership del centrosinistra alle prossime elezioni politiche.