Bruno
Vespa
Il generale Roberto Vannacci – uno degli uomini che ha reso efficienti e apprezzate nel mondo le forze speciali italiane – dovrebbe erigere una piccola stele con ex voto per grazia ricevuta alla sinistra italiana e renderle adeguati onori militari. Se alcuni avanguardisti del ‘politicamente corretto’ non avessero estrapolato da un impianto discutibile quanto si vuole, ma molto articolato, alcune frasi gravissime in assoluto e tanto più inaccettabili per un alto ufficiale dell’Esercito, il suo libro avrebbe avuto una modesta circolazione senza invece esplodere nelle classifiche editoriali e diventare un delicato caso politico. Un uomo con il curriculum di Vannacci non viene congelato all’Istituto geografico militare senza una ragione precisa. E la ragione sta nelle posizioni estremamente favorevoli a Putin maturate nel periodo in cui è stato addetto militare a Mosca dal febbraio 2021. Incarico delicatissimo anche perché è coinciso con l’aggressione russa all’Ucraina un anno dopo. È stata questa posizione a bruciare la brillantissima carriera di Vannacci: una nazione Nato esposta come la nostra in favore dell’Ucraina non può avere a un alto livello militare ambiguità di questo genere.
Già prima dell’uscita del libro, Vannacci puntava a una candidatura alle elezioni europee. Gli sarebbe piaciuto presentarsi con Fratelli d’Italia. Ma il libro ha fatto la frittata, non tanto per la divergenza tra la posizione ’istituzionale’ di Crosetto e quella ‘politica’ di Donzelli, quanto perché una filoatlantica come Giorgia Meloni avrebbe difficoltà a mandare a Strasburgo un sostenitore di Putin con una fortissima esposizione mediatica. Questo discorso vale anche per la Lega: Salvini ha espresso a Vannacci simpatia per l’aggressione mediatica subita. Ma ha impiegato tanto tempo a scrollarsi di dosso le accuse di putinismo che difficilmente farebbe una mossa così azzardata.