Ettore Maria Colombo
«AL SENATO non succederà un c. (irriferibile, ndr.) di niente! La domanda non è se il governo non ha i numeri, che li avrà sempre, ma se le opposizioni sono in grado di mettere in difficoltà il governo e la risposta è No!». Paolo Naccarato (ex Ncd, ora Gal) quasi si scoccia se gli si chiede del (presunto) Vietnam che la maggioranza si troverebbe ad affrontare, voto dopo voto, nell’Aula di palazzo Madama. Dopo cioè, lo strappo della minoranza dem sull’Italicum (alla Camera) e la mini-scissione di Civati.
CERTO è che, al Senato, stanno arrivando, in rapida successione, riforma Rai, ddl scuola e, soprattutto, il ddl Boschi (Senato e Titolo V). Federico Fornaro, gran tessitore insieme con Miguel Gotor delle truppe bersaniane, è scettico sulle aperture della Boschi sull’elezione dei futuri senatori («Vogliamo un Senato veramente elettivo») e persino sul conflitto d’interessi assicura: «Siamo almeno 25 e pronti a dare battaglia, uniti». Insomma, senatores probi viri, Senatus mala bestia. Ieri, a palazzo Madama, in effetti, l’aria era serena e rilassata, causa anche l’arrivo del ‘generale weekend’. Resta il punto. Com’è messa, la maggioranza, al Senato? Dipende, rispondono dal gruppo Pd. La maggioranza gode di un margine discretamente ampio: tra i 173 e i 175 voti, senza contare i senatori a vita come Monti e Napolitano e altri 2/3 senatori che votano sempre con il governo, come il ligure Rossi, la pattuglia di Autonomie-Psi, etc., «ma se fossimo in difficoltà arriviamo a 180 voti», assicura Naccarato. E, sempre dal gruppo Pd guidato da Zanda, tranquillizzano sulle reali intenzioni della minoranza, cui abbassano il numero («non sono più di 20») e persino su quelle dei civatiani. «Mineo, Tocci e Ricchiuti, ma anche Lo Giudice e Casson – in corsa come sindaco a Venezia per tutto il Pd – non hanno intenzione di uscire». In realtà, i tre potrebbero voler uscire, ma solo dopo l’esito delle Regionali.
CIVATI, però, la sua mossa l’ha fatta: ieri ha incontrato una pattuglia di ex pentastellati (Campanella, Pepe, Casaletto, De Pin) con cui potrebbe dare vita a un gruppo autonomo. Magari insieme ai sette senatori di Sel, capitanati dalla De Petris. Certo è che un nuovo gruppo di ‘sinistra’ composto da civatiani, Sel ed ex M5S potrebbe impensierire Renzi almeno quanto la battaglia che la minoranza prepara sul ddl Boschi. Il ‘Vietnam’, appunto. In quel caso, però, sono già pronte le truppe di soccorso: la coppia Bondi-Repetti, che già vota con il governo, i verdiniani (pochi dentro FI, ma forti nel Gal) e qualche transfugo ex grillino come Orellana o qualche ‘responsabile’ azzurro come Villari. I quali, dunque, farebbero da ‘vietcong’ al contrario: pro-governo.