Roma, 26 agosto 2019 - L’unica certezza è che la trattativa, pur tra mille difficoltà, va avanti. Con la sabbia che scorre nella clessidra, mentre Mattarella dà segni di impazienza. Anche perché alla fine di una giornata contrassegnata dall’ennesimo braccio di ferro sul bis di Conte a Palazzo Chigi si rincorrono voci contrastanti, con i trattativisti che spargono ottimismo e gli altri, invece, a gettare benzina sul fuoco. I dubbi s’incrociano con le ricostruzioni differenti che arrivano dai due partiti: ai sospetti – mai sopiti – di Zingaretti sul doppio gioco di Di Maio con Salvini, s’incrociano quelli dei grillini sulla volontà del leader Pd di voler "davvero" siglare un’intesa che ha il suo fulcro nel nome del premier giallo-rosso. Da cui dipende, per forza di cose, la squadra.
L’idea di Zingaretti di far saltare il banco grillino proponendo il nome di Fico s’infrange sul muro pentastellato. Il presidente della Camera, infatti, si sfila spintaneamente dai giochi. E rende facile a DiMaio far la voce grossa al telefono con Zingaretti su Conte: "È l’unico nome in campo". Anche perché – spiega – è la via più diritta per far ingoiare alla base una trattativa con il Pd che vede come il fumo negli occhi. Il segretario democratico ribadisce il no: noi non andiamo al governo con voi per tappare i posti vuoti lasciati dalla Lega. "L’Italia non capirebbe un rimpastone: serve discontinuità sui nomi". Lo stallo sul presidente del Consiglio impedisce ufficialmente di arrivare a una soluzione, complicata dalle voci che danno per attivo anche l’altro forno pentastellato, quello con la Lega: addirittura circolano voci di un possibile incontro tra i vertici dei due partiti per ricostruire la tela di un nuovo esecutivo giallo-verde. Nessuno pare intenzionato a fare sconti: i vertici del Pd chiedono un premier ‘terzo’, mentre i grillini rilanciano come irrinunciabile il decalogo programmatico illustrato al Quirinale che dovrebbe portare avanti Conte. "L’Italia non può aspettare il Pd", scandiscono. Facendo pure sapere di non avere affatto paura di tornare a votare. Ma dietro le quinte è noto da tempo che – pure al netto dei renziani – i democratici non avrebbero problemi ad accettare un Conte 2.0, naturalmente se Di Maio facesse un passo di lato: guarda caso, a metà pomeriggio al Nazareno circola l’ipotesi di un governo con l’avvocato con i ministeri più pesanti al Pd – dagli Interni alla Difesa – al quale non parteciperebbe l’attuale vicepremier grillino. Sono le ore in cui M5s rende noti i suoi paletti: gli esponenti democratici devono essere "puliti", cioè non riconducibili a inchieste come Mafia Capitale e nel nuovo esecutivo non devono sedere big renziani com Boschi o Lotti o politici particolarmente sgraditi ai militanti come la Boldrini. Ed è il momento in cui impazza il totonomi che vede la De Micheli vicepremier, Gualtieri all’economia in una squadra composta anche da Franceschini, Boccia, Orlando per il Pd, mentre da parte pentastellata si parla di Patuanelli, Di Battista, D’Uva, e Di Stefano. La ridda di voci viene bloccata dal Movimento: "Non accettiamo giochini". Analogamente, Zingaretti – dopo la riunione dei suoi tecnici sui dossier programmatici della trattativa, fa sapere che "la ricreazione è finita". La partita va avanti a colpi di comunicati: tra il 5 Stelle che mostrano intransigenza, ("si fa come diciamo noi") i vertici dem che non vogliono piegare la testa. Se si tratta solo di tattica lo sapremo oggi: il Quirinale vuole "elementi concreti" entro stasera per stabilire il ‘timing’.