di Gabriele
Cané
Quando partono gli appelli per "abbassare i toni", viene voglia di chiedere dov’è la manopola che regola l’audio. Siccome non esiste, tanto vale ragionare più sulla qualità che sull’intensità dei toni. Con una premessa: non siamo i soli al mondo con i decibel da registrare. Nella campagna presidenziale Usa, se ricordiamo bene, Trump in pratica ha minacciato o augurato la morte di Kamala. Un eccesso, ovviamente, ma in una situazione in cui almeno la posta in gioco era alta. Da noi, se guardiamo le cose senza lenti deformanti, non succede nulla che giustifichi le grida. Quando il sindaco di Bologna Lepore osserva che "c’è una strategia precisa per aumentare la tensione nel nostro Paese", parla di qualcosa che accadeva negli anni ‘70: l’intenzione di creare un clima eversivo che giustificasse un reazione, tipo colpo di Stato "nero". Il tempo delle stragi. Bene, non sappiamo se siano da abbassare i toni: di sicuro non sono da fare paragoni. Attentati non ci sono, golpisti non se ne vedono, circola qualche pattuglia di nostalgici del fascismo, probabilmente meno pericolosi degli ultrà di una curva. Per una strategia serve anche uno stratega, e anche qui il piatto piange: se poi ci fosse, fuori il nome. Su un altro fronte il monito di Cesa (Udc) ai dirigenti sindacali di andarci piano con le parole perché si è visto come finì con Marco Biagi, bollato dalla sinistra per la sua collaborazione con il ministro leghista Maroni, evoca un fatto indigeribile, ma in un clima sociale e politico diverso da quello attuale. Certo, andiamoci piano con frasi che possono innescare micce, ma cerchiamo di capire la realtà e trovare le manopole giuste: quella della storia, soprattutto. Materia che certamente non conosce il ragazzo che a Torino ha fatto il gesto della P38. Lui non c’era, all’epoca, forse neanche suo padre. Noi sì. Tenga le mani in tasca, meglio. E ripassi quando ha studiato.