Roma, 25 aprile 2024 – Agli eredi della tradizione post-fascista è sempre chiesto un chiarimento supplementare. Dopo la svolta di Fiuggi, dopo il fascismo come "male assoluto", dopo l’arrivo a Palazzo Chigi. "Ho un rapporto sereno con il fascismo", ha detto una volta Giorgia Meloni, nel 2006, a 29 anni, al Magazine del Corriere della Sera: "Lo considero un passaggio della nostra storia nazionale". Per Piero Gobetti fu decisamente qualcosa di più: "L’autobiografia della nazione". In quell’intervista, che le costò la reprimenda di qualche nostalgico dentro An, l’allora giovane vicepresidente della Camera paragonò Benito Mussolini a Fidel Castro: un dittatore vale l’altro, insomma (ecco perché i nostalgici di destra si adontarono).
Nel 2024, 79 anni dopo la Liberazione, Meloni è a Palazzo Chigi. "Quello che avevo da dire sul fascismo l’ho detto 100 volte", ha affermato nei giorni scorsi la presidente del Consiglio.
Per la destra extraparlamentare resterà sempre una traditrice che simpatizza con gli odiati americani, per la sinistra – sempre pronta a denunciare una presunta deriva autoritaria – non sarà mai libera dei fardelli del passato missino. Forse la verità, come spesso accade, sta nel mezzo. "Nel giorno in cui l’Italia celebra la Liberazione, che con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia, ribadiamo la nostra avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari", ha detto ieri la presidente del Consiglio, usando il plurale per intendere che di regimi ce n’è stato più d’uno, compreso quello comunista: "Quelli di ieri, che hanno oppresso i popoli in Europa e nel mondo, e quelli di oggi, che siamo determinati a contrastare con impegno e coraggio. Continueremo a lavorare per difendere la democrazia e per un’Italia finalmente capace di unirsi sul valore della libertà".
Nei giorni scorsi Meloni aveva spiegato che oggi "gli estremisti stanno da un’altra parte", senz’altro non al governo. Si riferiva alla sinistra, e soprattutto si riferiva ai diversi movimenti d’agitazione che attraversano il Paese. Nessuno di questi tuttavia, nemmeno i tutt’altro che democratici studenti universitari che odiano Israele, fa parte di un regime. Eppure, a differenza di altri (come il generale Roberto Vannacci, candidato alle Europee con la Lega, che non ha timore di risultare ambiguo rifiutandosi di definirsi antifascista), Meloni ha senz’altro contezza del proprio ruolo istituzionale.
Qui forse sta la differenza fra l’extraparlamentarismo di destra, che rivendica una connivenza ideologica con il fascismo, e chi invece cerca di costruire un partito conservatore. Di destra, certo, ma a tutela, ha detto Meloni, della libertà. Anche nei luoghi dove oggi manca, era il sottinteso non troppo velato delle parole della presidente del Consiglio; come in Ucraina che è stata invasa, per dirla in altri termini meloniani, da un dittatore come un altro.