Roma, 26 luglio 2011 - Professore, quant’è grave nel Pd la questione morale?
«È sbagliato parlare di ‘questione morale’. Sia per i democratici che per gli altri».

 

Perché?
«Ma perché derubrica il vero problema. Che è di natura squisitamente politica. È essenziale capire che esiste una ‘questione politica’ seria. È quella che ci deve preoccupare».
 

E chi riguarda?
«Tutti, non solo il Pd. Da vent’anni non esiste più la politica. Non sono state fatte quelle essenziali riforme costituzionali e del sistema sociale, direi quelle riforme strutturali, essenziali per andare avanti. Non la buttiamo sulla presenza dei politici ‘cattivi’. Imbroglioni e mestatori ci sono sempre stati. La realtà è che in Italia non ci sono le leggi che dovrebbero ‘contenere’ i fenomeni di malcostume. Così come sono assenti partiti in grado di selezionare la classe dirigente».
 

Magari era meglio nella Prima Repubblica...
«No. Il disastro nasce tutto negli anni Settanta. Anni in cui c’era una crisi davvero tragica, molto più di oggi. È in quel periodo che si creano le condizioni per la mancata alternanza. Poi, dopo il disastro di inizio anni Novanta, ci troviamo di fronte a forze politiche raccogliticce che difficilmente possono essere definiti partiti».
 

E che cosa sono?
«Un coacervo di populismo e demagogia. Che mette ancora più in luce quanto sia sbagliato analizzare la crisi attraverso la categoria della questione morale. Essa è un sintomo. Il vero malato, grave, è la politica».
 

Professore, però la classe politica di una volta era ben altra cosa, ammetterà...
«Guardi, quando entrai in Parlamento la prima volta avevo 32 anni. E devo dire che per fortuna quegli anni tragici sono finiti. Se impostiamo il nostro ragionamento sui singoli è evidente che i protagonisti di allora, o parte di essi, erano superiori agli attuali. Ma dobbiamo stare attenti a contestualizzare. Non dimentichiamoci quale era l’Italia degli anni Settanta. Il livello culturale generale. È chiaro che i Napolitano, gli Amendola, i Chiaromonte erano di un livello superiore. E ancora: i Moro, i Fanfani, il primo De Mita. Per non parlare dei Bisaglia o dei Marcora, fra i primi a capire che esisteva una ‘questione settentrionale’».
 

Dei veri politici...
«Sì, ma attenzione a farne casi singoli. Voglio dire che la classe politica di allora va giudicata rispetto al contesto di allora. Oggi, paradossalmente ma non tanto, la situazione si è ribaltata».
 

Beh, cambiano anche i media...
«Certamente. Il che da una parte è positivo perché c’è un maggiore controllo, si incoraggia la partecipazione, si favorisce la trasparenza. Dall’altra, però, si fanno operazioni di pura demagogia. Come sui costi della politica. Come se in America non ci fossero gli stessi problemi».
 

Ma la gente è furibonda.
«E ne ha ben donde. Ma non è col populismo che si risolvono i problemi bensì con l’analisi attenta e proponendo soluzioni. Diciamo le cose come stanno: l’intera classe politica è responsabile di questa emergenza per aver sempre rimandato le riforme necessarie. Ora abbiamo tamponato in parte le falle e possiamo ricominciare a ragionare. Diciamo che abbiamo stoppato alla meno peggio la valanga. E di questo non possiamo far altro che ringraziare Napolitano. Se non era per lui, stavamo freschi...».