Poi scenderò qua in strada
a contare i vivi. Quello che sentivano puzzava di gran bluff. Le armi, i nemici, le arabe invasioni. La storia, si sa,
la fanno i vincitori, E poi mille bugie, mille fobie. Tutti chiusi
in casa a chiederci un perché. Come è mai potuto a noi succedere? Tu lo sai perché,
tu lo sai perché. Ci ritroviamo dentro l’ora d’aria. Vediamo
un cielo che non c’è in tv.
Con una luce molto meno precaria. La nostra pelle è gialla e blu. Siamo finiti in una bolla d’aria. Ci credevamo in un coffee shop. Non ricordiamo
la nostra storia. Siamo strafatti di Novichok. Uoh-oh, uoh-oh, uoh-oh. Novichok, coffee shop. Novi, novi, Novichok. Novichok.
È un punk rock ritmatissimo, tutto da pogare ’Novichok’, uno dei pezzi guida dell’ultimo album di Piero Pelù ’Deserti’, il primo dopo il nuovo scioglimento dei Litfiba, ma anche il secondo capitolo della Trilogia del Disagio, che prese il via nel 2020 con la pubblicazione del disco ’Pugili fragili’. Novichok è il veleno subdolamente usato da Putin per uccidere i suoi oppositori. Il brano omonimo consente a Pelù di fotografare un presente che ci lascia spiazzati e non ci rappresenta, ma anche di esultare con un urlo liberatorio per il termine del suo stop forzato (a causa di uno shock acustico che colpì il cantante) e sancisce la fine di un periodo di depressione che ha afflitto il rocker fiorentino proprio a causa di questo malanno e per l’ennesima conclusione della storia della sua band.