Studiare all’estero cambia. Per i ragazzi è un’opportunità di crescita personale che porta a una maggiore apertura mentale e migliora la capacità di adattamento. Al tempo stesso, però, è un’esperienza che li fa sentire stranieri in patria, perché al rientro non riescono a condividere con amici e familiari ciò che hanno vissuto e faticano a riabituarsi alla vita di casa. Questa situazione, mix tra una sorta di depressione, nostalgia, apatia e idealizzazione del paese straniero, viene definita ’reverse culture shock’ (shock culturale inverso) e colpisce sempre più studenti anche in Italia.
Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito, oltre 70.000 ragazzi italiani partecipano ogni anno al programma Erasmus e più di 10.000 frequentano un anno scolastico all’estero attraverso scambi culturali. Un report di Nafsa (National Association of Foreign Student Advisers) evidenzia come il rientro, soprattutto dopo lunghi periodi all’estero, sia spesso accompagnato da nostalgia e senso di frustrazione e inadeguatezza. Secondo il British Council, invece, circa il 40% degli studenti al rientro non si sente compreso da amici e familiari. Il ’reverse culture shock’ è, infatti, l’ultima fase di un percorso che, per essere di successo, richiede l’utilizzo di semplici strategie, come suggerisce Studey, la community che supporta gli studenti italiani all’estero in tutte le fasi del loro iter di studi.
Tutto inizia prima di partire, quando si è impazienti ma anche preoccupati e nervosi. Raccogliere tutte le informazioni che potranno essere utili, numeri di telefono, indirizzi, contatti e-mail, placherà l’ansia. La seconda fase, ovvero le prime quattro settimane all’estero, è un periodo pieno di emozioni che richiede un grande dispendio di energie fisiche e mentali. Fondamentale accumulare esperienze, pianificare le giornate, fissare i primi incontri con i professori e avere uno stile di vita sano. Poi, ci si confronta con la realtà, ci si sente estranei e mancano gli affetti. Per non isolarsi quando la nostalgia si fa sentire, meglio mantenere almeno tre incontri sociali a settimana. Se necessario, le università offrono vari contatti e servizi di assistenza psicologica. Le due fasi successive sono di adattamento e accettazione. Nella prima, ci si sente più a casa e si sviluppano nuove routine. Il consiglio è di abbracciare il cambiamento. Nella seconda, cresce l’ integrazione e la sicurezza in sè. È il momento di provare nuove attività (come uno sport) e di celebrare i progressi fatti stilando una lista di ciò che si ama della nuova vita.
Infine, si rientra, ed ecco lo shock da cultura inverso. C’è l’entusiasmo del rivedere amici e familiari ma anche la frustrazione e il sentirsi non compresi. Mantenere una vita sociale attiva è la chiave. Da non sottovalutare anche il doversi riadattare al sistema educativo italiano. A oggi purtroppo, non sempre la scuola riesce a supportare adeguatamente gli studenti al rientro con conseguenze sulla formazione e su future opportunità di accesso alle università estere.
a cura di Marina Santin