Giovedì 16 Gennaio 2025
LORENZO GUADAGNUCCI
QN Nuove generazioni

Auschwitz, la voce agli scampati: "I politici non terranno discorsi"

La scelta del Direttore del Memoriale e l’imbarazzo per la posizione di Netanyahu

LA SCELTA DEL DIRETTORE DEL MEMORIALE E L’IMBARAZZO PER LA POSIZIONE DI NETANYAHU

LA SCELTA DEL DIRETTORE DEL MEMORIALE E L’IMBARAZZO PER LA POSIZIONE DI NETANYAHU

La memoria è un campo di battaglia e ogni anno che passa le cerimonie del 27 gennaio ad Auschwitz sono sempre più difficili. Perciò colpisce, ma in fondo non sorprende, l’inedita scelta compiuta dal direttore del Memoriale e museo di Auschwitz Birkenau, Piotr Cywiński: "Quest’anno – ha detto in un’intervista al quotidiano The Guardian – non ci saranno discorsi politici". Nell’ottantesimo anniversario della liberazione del campo, dunque, ministri, capi di stato e monarchi per la prima volta non potranno prendere la parola, che sarà lasciata ai pochi sopravvissuti rimasti. Cywiński ha spiegato la scelta con la volontà di concentrarsi "sugli ultimi sopravvissuti che sono tra noi e sulla loro storia, il loro dolore, il loro trauma e il loro modo di presentarci i difficili obblighi morali del nostro tempo". Motivazioni serie, ma la mossa del direttore del Memoriale si colloca in un contesto politicamente rovente, per il particolare momento storico che stiamo vivendo: da un lato la guerra che ancora si combatte in Ucraina, a tre anni dall’invasione russa, dall’altro il feroce attacco israeliano alla Striscia di Gaza, seguito alle stragi compiute da Hamas il 7 ottobre 2023 in Israele.

Nelle settimane scorse, non solo in Polonia, ha tenuto banco la particolare posizione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, colpito nel novembre scorso – come l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e il leader di Hamas Mohammed Deif – da un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità. La presenza di Netanyahu ad Auschwitz non era programmata, ma il primo ministro si è trovato nella scomoda posizione di non poter comunque partecipare alla cerimonia del 27 gennaio, se non rischiando l’arresto, che la Polonia sarebbe obbligata ad eseguire. Tanto è bastato per spingere il governo polacco, guidato dal liberale Donald Tusk, a garantire preventivamente un “salvacondotto“ a Netanyahu, annunciando così che la prescrizione della Corte penale sarebbe all’occorrenza disattesa.

La Commissione europea, a quel punto, si è trovata costretta a “riprendere“ il governo polacco, ricordando che l’Unione europea, di cui la Polonia fa parte, "sostiene la Corte penale internazionale e ne rispetta l’indipendenza e l’imparzialità" e quindi "chiede a tutti gli Stati membri di cooperare con la Corte, compresa l’esecuzione dei mandati di arresto". Difficilmente, a questo punto, Netanyahu deciderà di partire per la Polonia, a meno che non voglia alzare la posta, presentandosi ad Auschwitz, forte del “salvacondotto“, sfidando platealmente sia l’Unione europea sia la Corte penale internazionale, di cui Israele peraltro non fa parte.

Ma al di là degli aspetti politici e giuridici, non sfugge a nessuno l’enorme imbarazzo suscitato dalla posizione del premier di Israele, rappresentante massimo di un Paese che sulla memoria della Shoah poggia la propria cultura politica e anche la propria emotività. Come ha scritto Gideon Levy sul quotidiano israeliano Haartez: "Questa amara e non troppo sottile ironia della storia fornisce un intreccio surreale che era quasi inimmaginabile prima d’ora: basta immaginare il primo ministro che atterra a Cracovia, arriva all’ingresso principale di Auschwitz e viene arrestato dalla polizia polacca al cancello, sotto la scritta Arbeit macht frei".

Cywiński, togliendo la parola a ministri e capi di stato, tenta di riportare la cerimonia del 27 gennaio nel campo ristretto del ricordo, con l’omaggio alle vittime e le parole dei sopravvissuti, ma la memoria non è – non è mai stata – terreno neutrale: il solo fatto di ricordare la storia e trarne insegnamento presuppone una selezione, quindi una scelta politicamente orientata.

Già all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, del resto, erano stati esclusi dalla cerimonia del 27 gennaio i rappresentanti della Federazione russa, come Cywiński ha ribadito: "Si chiama giorno della liberazione e non credo che un Paese che non capisce il valore della libertà abbia qualcosa a che fare con un a cerimonia dedicata alla liberazione". Anche in questo caso il corso della storia presenta un alto tasso di amara ironia: a liberare Auschwitz, il 27 gennaio 1945, erano stati i soldati dell’Armata rossa, che comprendeva militari sia russi sia ucraini.

Cywiński ha detto al Guardian che vorrebbe tenere Auschwitz lontano dalla politica, ma il suo sforzo non sembra destinato ad avere successo.