Napoli, 23 luglio 2024 – Nella testa dell’archistar Franz Di Salvo, c’era l’utopia sociale delle "Unités d’habitation" di Le Corbusier in Francia. Le sette Vele di Scampia (un quartiere di 100.000 abitanti, il doppio di quelli previsti dal piano urbanistico) dovevano costruire una macchina abitativa autosufficiente in cui le famiglie potessero vivere come in una città in miniatura. Non è stato così: quello che doveva essere una struttura ispirata anche agli edifici berlinesi costruiti tra le due guerre dall’architetto Walter Segal è evaporata con il passare degli anni.
"Le Vele furono ultimate nel 1975, senza però la grande piazza alberata con il centro comunitario alla Gropius, lo spazio giochi dei bambini, i negozi di alimentari, la biblioteca, progettati da Di Salvo per garantire la qualità della vita dei ‘velisti’. Mai realizzati per mancanza di fondi", ha scritto Gerardo Mazziotti, uno dei più grandi architetti di Napoli. La trasformazione delle Vele in un inferno abitativo e degradato avviene un po’ alla volta, con tutti i sindaci. Nessuno di loro è riuscito a gestire questo grande patrimonio edilizio, anzi si sono girati dall’altra parte quando nei 1.192 alloggi invece di 6.000 residenti ce n’era il triplo. "Al degrado architettonico e urbanistico – aggiunge l’architetto Luis Andreozzi, docente a contratto presso varie università e consulente della Philadelphia Housing Authority – si è poi aggiunto il monoclassismo. Bisognava assegnare le Vele a un’utenza di varie categorie sociali, come avviene in Europa, ma si è preferito darle ai nullatenenti, ai diseredati, ai disoccupati. Senza contare il vandalismo (è stato tollerato anche il furto degli ascensori, ndr), gli abusi, le carenze manutentive. Un abbandono assoluto e scandaloso. Le Vele sono state così trasformate in ecomostri".
Fino all’abbattimento di quattro manufatti e al progetto ‘Re-Start Scampia’ che prevede la riqualificazione della Vela Celeste (proprio quella del crollo), la demolizione delle Vele Gialla e Rossa e la costruzione di 433 nuovi alloggi autosufficienti dal punto di vista energetico. Un conto da 159 milioni di euro, provenienti da fondi Pnrr, Pon Metro e Periferie. La domanda è: vale la pena riqualificare quel pezzo di città, rimettere mano alla Vela diventata carta velina, investirci tutto quel denaro?
"Scampia è diventato un quartiere-ghetto – dice l’architetto Francesco Alessandria, componente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici e docente di ‘Rehabilitation and urban regeneration’ alla Sapienza di Roma – e l’azione che bisogna intraprendere su ambiti tanto degradati, su cui non c’è mai stata né manutenzione ordinaria né straordinaria, è un’azione rigenerativa, conferendo nuova vita a queste aree urbanizzate e a parte di questi immobili. Non si può immaginare il deserto, va fatta un’operazione di rigenerazione urbana complessiva dove le scelte politiche hanno un peso. Garantendo l’inclusione vera attraverso la miscelazione tra diverse aree sociali. È una grande sfida politica e sociale, bisogna raccoglierla".
Nino Femiani