Per anni, in quel triangolo di terra fra le province di Napoli e Caserta, sono stati scaricati, interrati e inceneriti rifiuti tossici. Sotto gli occhi di tutti. Tutti sapevano ma nessuno ha mai mosso un dito. Neanche lo Stato. L’atto di accusa della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo va al di là della sentenza di condanna: colpisce al cuore un’intera collettività.
Salvatore Tramontano e Stefano Ducceschi, napoletani, commercialisti, sono tra i promotori dell’iniziativa di presentare ricorsi a Strasburgo. Insieme con gli avvocati Antonella Mascia, Valentina Centonze, Armando Corsini e Ambrogio Vallo, che hanno patrocinato la causa, hanno spiegato il significato e l’impatto di questa storica decisione, ringraziando in particolare don Maurizio Patriciello, i ricorrenti, le associazioni, gli abitanti delle aree colpite, i volontari e i giornalisti che con determinazione hanno creduto nella giustizia e nella tutela della dignità umana. Come è nata l’idea del ricorso?
"Tutto è iniziato – ricorda Salvatore Tramontano – nel 2013, quando abbiamo saputo che erano stati desecretati gli interrogatori di un pentito di Camorra del 1997. Interrogatori e verbali in cui erano indicati esattamente i siti in cui erano stati stoccati i rifiuti tossici illegali nella Terra dei Fuochi. Lo Stato italiano, in sostanza, conosceva la situazione e, invece di agire, ha secretato i documenti. Le date, quindi, sono importanti. Siamo, infatti, nel ’97 e in quel momento era già tutto noto. Perché in questi quindici anni non è accaduto nulla? Com’è possibile che l’Italia, avendo sottoscritto la Convenzione dei Diritti dell’Uomo nel 1950, non abbia posto in essere quelle azioni finalizzate a tutelare i diritti previsti in quel documento? Attuare nella pratica quello che era stato scritto e riconosciuto”. E, quindi, che cosa avete fatto?
“Abbiamo capito che in effetti c’era stata una inattività non giustificabile da parte dello Stato italiano e, nel 2014, sono stati presentati i ricorsi. Prima, però, abbiamo voluto incontrare le famiglie e le tante persone che hanno convissuto con i veleni della Terra dei Fuochi, sopportando malattie e, in qualche caso, perdendo anche la vita. La nostra è stata un’iniziativa corale, partita dai cittadini di un territorio violentato, martoriato, trattato malissimo, dove le persone stanno combattendo da decenni nella completa indifferenza di chi avrebbe dovuto fornire un supporto concreto e aveva il dovere di farlo”. In sostanza, che cosa dice la sentenza della Corte?
“Ha riconosciuto – spiega Stefano Duceschi - che lo smaltimento illegale e incontrollato di rifiuti pericolosi, spesso accompagnato da incenerimenti e interramenti, rappresenta un rischio grave, reale e imminente per la salute umana, come dimostrato dalla presenza di diossina, metalli pesanti e altre sostanze cancerogene. Secondo la Corte, le autorità italiane non solo hanno ritardato in modo ingiustificato nell’adottare interventi strutturali, ma hanno anche omesso di informare adeguatamente la popolazione sui rischi legati all’inquinamento e di mettere in atto misure di prevenzione, monitoraggio e contrasto efficaci. Pur essendo a conoscenza del fenomeno da decenni, solo dal 2013 sono stati avviati alcuni interventi e un vero piano d’azione è stato approntato solo nel 2018, con un approccio frammentario e insufficiente”. Quali saranno le conseguenze della sentenza?
«Data la gravità e l’ampiezza del problema, che coinvolge circa 2.963.000 abitanti, la Corte EDU ha applicato la procedura pilota, riconoscendo l’inquinamento nella Terra dei Fuochi come una crisi ambientale sistemica e strutturale. Ha quindi imposto all’Italia l’adozione, entro due anni, di misure concrete, tra cui la mappatura delle aree contaminate, la valutazione dell’inquinamento su suolo, acqua e aria, lo studio degli impatti sanitari, la decontaminazione dei territori compromessi e il potenziamento del monitoraggio ambientale”. Che cosa succederà adesso?
“La sentenza fa giurisprudenza ed è rivoluzionaria, non soltanto per il contenuto riguardante l’intervento che ora deve fare lo Stato e la sanzione che l’Italia ha ricevuto, ma anche perché la Corte riconosce alle associazioni sul territorio – quindi ai movimenti e ai cittadini – un ruolo fondamentale nella lotta che si sta portando avanti. Nella sentenza viene detto anche che questi gruppi hanno non solo il diritto, ma il dovere di monitorare gli interventi che lo Stato è tenuto a fare. Possono essere controllori e imporre le cose giuste da fare”.