
L'Ex ministro Luigi Nicolais
Luigi Nicolais, presidente e cofondatore di Materias, incubatore di startup basate su materiali innovativi, rappresenterà l’Italia all’interno degli organismi “European Innovation Council (EIC)” e “European Innovation Ecosystems (EIE)” del Comitato di Programma di Horizon Europe. A nominarlo “in considerazione della sua esperienza professionale” è stato il Ministero dell’Università e della Ricerca guidato da Anna Maria Bernini.
Napoletano, classe 1942, ingegnere chimico, professore ordinario di Tecnologie dei Polimeri all’Università Federico II, autore di oltre 350 pubblicazioni scientifiche, Nicolais è stato fondatore e direttore dell’Istituto per la Tecnologia dei Materiali Compositi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, nonché assessore dell’Università, della Ricerca Scientifica e dell’Innovazione Tecnologica e Nuova Economia alla Regione Campania. È un componente del "Gruppo 2003”, consesso di ricercatori italiani che, lavorando in Italia, sono inseriti nella classifica compilata dall’Isi (Institute for Scientific Information) di Filadelfia e che raccoglie gli scienziati più citati nel mondo. È stato professore anche presso l’University of Washington e l’University of Connecticut di Storrs. Nell’intervista a Qn spiega gli obiettivi del suo nuovo incarico e, soprattutto, in che modo la ricerca può essere al servizio della crescita del Paese.
Quali sono gli obiettivi del Consiglio europeo per l’innovazione all’interno del quale rappresenterà l’Italia?
"Prima di tutto voglio ringraziare la ministra della Ricerca, Anna Maria Bernini, per la fiducia che mi ha dimostrato. Si tratta di un incarico molto delicato all’interno di organismi europei che promuovono l’innovazione e la trasformazione tecnologica con ricadute importanti per l’intero sistema Paese. Stiamo parlando del programma più importante dell’Europa per identificare, sviluppare e ampliare tecnologie e innovazioni rivoluzionarie durante l’intero ciclo di vita, dalla ricerca iniziale al trasferimento tecnologico, fino al finanziamento e allo sviluppo di startup e PMI. È stato lanciato nell’ambito del programma Horizon dell’UE nel marzo 2021. Gli European Innovation Ecosystems agiscono in modo complementare e in sinergia con l’EIC, l’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT) e altri programmi di finanziamento dell’UE, per migliorare l’ecosistema complessivo dell’innovazione in Europa, stimolando la cooperazione tra gli attori nazionali, regionali e locali. È un settore dove c’è molta attenzione, alla luce dei nuovi equilibri geopolitici mondiali”.
Si riferisce, ovviamente, alla svolta di Trump?
“Sì, gli USA stanno seguendo una linea molto diversa dal passato e noi dovremmo dotarci di una sorta di sovranità tecnologica: non possiamo più immaginare di importare tecnologie dall’estero, soprattutto in settori strategici. E questo richiede una maggiore attenzione all’innovazione”.
Come fare?
“Ho sempre cercato di spingere verso un’università che lavorasse per la ricerca di base, ma con una costante attenzione verso le applicazioni industriali, in stretto collegamento con le imprese. Deve essere un obiettivo anche a livello europeo”.
Come si colloca l’Italia?
“L’Italia è bravissima nella produzione di articoli scientifici e di ricerche, ma non è altrettanto brava nell’uso di questa conoscenza. La ricerca fondamentale è essenziale, ma bisogna puntare anche sulla sua applicazione. Già con l’ex ministra della Ricerca, Maria Cristina Messa, avevamo puntato su due progetti, uno sulla ricerca di base e l’altro su quella applicata. Con la ministra Bernini stiamo lavorando nella stessa direzione. Abbiamo tutte le condizioni per poter fare bene”.
E le imprese?
“Sono importanti, ma non sono più in grado, come negli anni ’60 e ’70 con Olivetti o Montedison, di realizzare innovazioni radicali da sole. Per questo c’è bisogno delle strutture pubbliche”.
È una strada già battuta dagli Stati Uniti, non è così?
“Certo. Con l’aggiunta del settore militare. Ma servono grossi investimenti. Anche se devo dire che l’Italia è brava a partecipare a bandi di gara per l’innovazione, sia regionali che internazionali”.
Ma la collaborazione con le imprese è efficace?
“Non è facile. Ho creato Materias proprio per trovare un’interfaccia fra il mondo della ricerca e quello dell’innovazione. Molte delle nostre attività stanno per arrivare sui mercati in settori importanti, come ilbiomedicale o l’agricoltura”.
Qual è la situazione a Napoli?
“Napoli è in ottima posizione: ci sono università eccellenti e siamo molto bravi a fare ricerca. Poi, però, questo lavoro non trova sbocchi di mercato. Le startup sono un mezzo e non un fine”.
Che cosa bisognerebbe fare?
“Creare un maggiore collegamento fra ricerca e imprese, ma anche semplificare l’iter per acquisire fondi e finanziamenti, anche da enti pubblici come Cdp. Servono, infatti, capitali ‘pazienti’, che siano in grado di aspettare i tempi giusti affinché una ricerca possa diventare un prodotto. Sono fasi che possono durare anche 5-7 anni. Nel settore biomedicale si arriva a dieci anni. Ma sono processi fondamentali anche per frenare la fuga dei cervelli e fare in modo che i nostri giovani trovino nel Sud, e a Napoli in particolare, le opportunità per restare a casa senza dover varcare il confine per avere occasioni di lavoro e retribuzioni molto più alte rispetto a quelle che potrebbero ottenere in Italia”.