Napoli, 18 ottobre 2021 – È stato un colpo violento all’addome, sferrato all’altezza della milza, a innescare la catena di eventi che portarono alla morte Lucia Caiazza, la 52enne deceduta in ospedale il 14 maggio del 2020, dopo essere arrivata in condizioni disperate e con un’emorragia interna. Non ha dubbi la seconda sezione della Corte di Assise di Napoli, per questo il compagno della donna, lo scorso luglio il 47enne Vincenzo Garzia è stato condannato a 16 anni per omicidio preterintenzionale aggravato. Dopo la sentenza di luglio, oggi le motivazioni. L'ipotesi accusatoria “è pienamente corrispondente all'effettivo svolgimento dei fatti”, si legge nella sentenza.
Fu quel violento colpo all'addome, un calcio oppure un pugno sferrato da Vincenzo Garzia durante la convivenza forzata a causa del lockdown, a innescare la catena di eventi che portarono alla morte Lucia Caiazza alla quale l'uomo si era legato verosimilmente solo per questioni di denaro. Un colpo spacciato per una caduta dalle scale, sferrato tra il 4 e il 10 maggio 2020, che ha provocato - sostengono i consulenti medici - una lesione interna con sanguinamento, rimasta silente per giorni. Una ferita interna che alla fine ha costretto la donna, vittima di un uomo violento e di un amore malato, al ricovero nell'ospedale di Napoli, San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, dove neppure due interventi chirurgici hanno potuto evitare il decesso, avvenuto poco prima delle 23 del 14 maggio 2020. Ma, nelle motivazioni della sentenza con la quale lo scorso 14 luglio i giudici hanno condannato Garzia a 16 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, emerge anche un altro dato: questa tragedia non si sarebbe verificata se solo una delle tre donne che si erano legate sentimentalmente a quell'uomo dall'indole violenta avesse denunciato i maltrattamenti che subiva.
Lucia compresa, che ha sempre negato le botte prese, anche ai medici, e giustificato quei lividi che le sue figlie Sara e Rosa, difese dall'avvocato Sergio Pisani, e i suoi parenti le facevano notare, come l'effetto collaterale della terapia farmacologica antiaggregante a cui era sottoposta da anni. Farmaci, peraltro, che, insieme con la sua reticenza ad ammettere i maltrattamenti, hanno reso il quadro ancora più complicato. “Garzia - sottolineano i giudici - ha sempre avuto comportamenti prevaricatori e violenti nell'ambito domestico”. Oltre alle confidenze della moglie dell'imputato, emerse durante il processo, anche una sua ex compagna, che l'uomo aveva continuato a vedere durante la relazione con Lucia, parla dei suoi comportamenti: “Nella sofferta deposizione resa, ha ammesso di aver continuativamente subìto, nel corso degli anni della convivenza, un incessante susseguirsi di violenze, insulti, minacce, pur perseverando in un incomprensibile sentimento autodistruttivo, a continuare a relazionarsi a Garzia, anche successivamente alla loro separazione e al nuovo rapporto intessuto dall'uomo”. Ma non solo. “Questa vicenda - precisa l'avvocato Sergio Pisani - ci insegna come sia importante denunciare, se le ex compagne del Garzia lo avessero fatto, ora forse non staremmo parlando di questo omicidio”.