Napoli, 17 novembre 2024 – Si continua a parlare dell’aggressione ai danni di una docente alla scuola media ‘Salvati’ di Scanzano, una frazione di Castellammare di Stabia (Napoli). La donna ha subito un agguato da parte di trenta genitori che sono irrotti durante l’orario di lezione: ne è uscita con lesioni varie e un grave trauma cranico. Ferito anche il padre, accorso per difenderla.
Dietro alla violenza una serie di accuse di comportamenti scorretti tenuti nei confronti degli alunni: alcuni parlano di presunti abusi. Ciò che è certo è che la donna è stata vittima di un attacco hacker ai suoi profili social nell’estate e che è stata responsabile della sospensione di uno studente dopo che quest’ultimo è stato sorpreso a fumare in bagno. Due giorni dopo l’aggressione, sui social ha cominciato a girare un post, intitolato ‘L’urlo di una madre’, che pur senza fare nomi vengono sottolineate le accuse all’insegnante.
“Castellammare di Stabia si è superato ogni limite – il commento, all’Adnkronos, di Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche e cyberbullismo – Una docente è finita vittima di un raid punitivo, scatenato da un'accusa gravissima lanciata senza alcuna prova e amplificata dal tam-tam delle chat di gruppo. Non c'è stato spazio per il dialogo, né per il confronto. Solo una rabbia cieca che ha trasformato un sospetto in condanna”. “Questi spazi virtuali – continua – nati per facilitare la comunicazione si stanno trasformando in fabbriche di paranoia e rabbia collettiva”.
E la soluzione sarebbe una sola, radicale: “Forse è arrivato il momento di vietare queste chat per legge, perché troppo spesso diventano teatri di giustizia fai-da-te, dove non esiste verifica, ma solo emotività incontrollata”. Ma Lavenia non dà l’interezza della colpa ai genitori: “Queste conversazioni online sono il riflesso di una società che fatica a gestire le proprie frustrazioni. Ogni messaggio, ogni sospetto, diventa benzina sul fuoco, fino a degenerare in episodi come questo. La violenza non nasce da un'app, ma da noi. La tecnologia amplifica ciò che già portiamo dentro: rabbia, insicurezza, paura”.
“Cosa vogliamo insegnare ai nostri figli? – conclude lo psicoterapeuta – Che accusare senza prove e colpire siano strumenti accettabili? O che il rispetto delle regole e il dialogo restano l'unica via?”.