Roma, 24 luglio 2024 – “Questa è una tragedia annunciata", scandisce don Maurizio Patriciello, il sacerdote simbolo delle periferie campane. Dalla sua chiesa di Caivano, presidio di lotta e riscatto dopo le violenze sessuali al Parco Verde, le Vele di Gomorra distano appena 15 chilometri. Solo un’altra faccia della Campania degli ultimi. Quella che ora chiede sostegno a chi ha argomenti e voce.
Don Patriciello, cosa ci svela la tragedia di Scampia?
"Tanto. Tantissimo. Errori in sequenza ininterrotta. Come si è potuto pensare di ammassare migliaia di famiglie in un’area priva di servizi, dentro un progetto fallimentare sin dalla sua concezione? Persino la beffa delle passerelle che dovevano richiamare i vicoli di Napoli. Come quella che è crollata".
E proprio nella Vela azzurra, quella in ristrutturazione che sarà salvata.
"Io queste Vele le abbatterei tutte. Compresa l’azzurra. Come può diventare l’icona della riqualificazione dopo la tragedia? Naturalmente sperando che il bilancio di morte non si aggravi".
Di chi è la responsabilità?
"Di chi non ha fatto controlli e manutenzioni. Noi uomini proprio non vogliamo capire che costruzione e manutenzione devono andare a braccetto. Altrimenti tutto collassa, a partire dai ghetti che fanno da corona ai centri storici".
Luoghi senza speranza?
"Dipende ancora dagli uomini. Basta costruire città fatte di isole separate. Perché anche i quartieri modello, dove abitano ricchi o benestanti, a modo loro sono ghetti. Le città vanno ripensate e mescolate. Dobbiamo vivere in comunione, che laicamente si chiama condivisione. Ma dobbiamo agire. Altrimenti le contraddizioni delle periferie esploderanno. Perché una società che esclude sistematicamente i poveri prima o poi paga dazio".
È questa la priorità?
"Di emergenza in emergenza, rischia di sfuggirci il punto. E il punto è che tutti debbono avere la possibilità di vivere con decoro e coltivarsi. Come prete, ci lavoro ogni giorno. E vorrei che fosse chiaro: annunciare il vangelo a Caivano o a Scampia non è come annunciarlo a Ginevra o a Berlino. C’è una storia emblematica della Napoli che soffre".
Quale?
"L’omicidio di Giovambattista Cutolo, il promettente musicista ucciso un anno fa, per futili motivi, da un minore dei Quartieri spagnoli che non conosceva certo la musica, ma la violenza sì. Nei contesti più degradati, l’educazione alla legalità e la trasmissione della cultura debbono diventare la sfida di tutti".
Il caso Caivano con la risoluta risposta dello Stato alle violenze sessuali del Parco Verde (risanato a tempo di record), la rapida condanna dei colpevoli e i numerosi interventi a sostegno, possono rappresentare un format di rinascita?
"Sarebbe bello, perché a Caivano lo Stato ha reagito. Auspico che a ogni tragedia del degrado corrisponda una reazione mirata per prassi costante".
Sfruttando l’onda emotiva della cronaca?
"Anche. L’indignazione di queste ore deve sfociare in risposta adeguata. Scampia risalta per la sua grande voglia di rinascita. Ma quando all’improvviso ci si scopre insicuri in casa propria, in quello che è percepito come il proprio nido, per malridotto che sia, ogni sofferenza diventa assoluta e va ascoltata".
Sembra che non tutti gli evacuati potranno rientrare.
"Difatti mi arrivano parole di forte preoccupazione che si somma al dolore per morti e feriti".
Come spiega che a dispetto dell’estremo disagio di Scampia le statistiche di natalità siano nella fascia alta del Paese?
"Qui i giovani hanno ancora il coraggio di mettere al mondo dei figli. Qui il tessuto sociale è forte. Qui servono solo rigenerazione e investimenti. Per assurdo, la fiducia c’è già".