Napoli, 19 maggio 2024 – Tre serbatoi di magma sotto i Campi Flegrei, accumuli che causano instabilità e quindi i terremoti che caratterizzano l’intera zona nord occidentale del Golfo di Napoli. Sono stati “visti” per la prima volta grazie ai risultati ottenuti da un nuovo studio condotto da un team multidisciplinare di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, pubblicato su Earth and Planetary Science Letters di Elsevier che applica l’innovativo metodo della tomografia sismica in 4 dimensioni, quindi considerando anche il tempo, oltre ai valori di spazio, potendo così essere usato anche per formulare previsioni.
Il nuovo studio sui Campi Flegrei
Ottenere immagini dettagliate della struttura e del livello di fratturazione delle rocce della caldera dei Campi Flegrei tramite l’analisi della variazione nel tempo della velocità delle onde sismiche. Al contempo, investigare le caratteristiche principali del sistema di alimentazione vulcanico e i principali cambiamenti tra l’instabilità (unrest) o bradisismo in corso e il fenomeno accaduto tra il 1982 e il 1984. Questi gli obiettivi dello studio "Tracking transient changes in the plumbing system at Campi Flegrei Caldera" condotto da un team multidisciplinare di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, pubblicato su Earth and Planetary Science Letters di Elsevier. Si tratta del primo studio di tomografia sismica che integra la microsismicità avvenuta ai Campi Flegrei nell’arco di quarant’anni, dal 1982 al 2022.
Individuati per la prima volta 3 serbatoi di magma
I ricercatori hanno utilizzato una tecnica basata su un approccio probabilistico non lineare alla risoluzione del problema tomografico, analizzando il rapporto tra la velocità delle cosiddette onde P (prime o di pressione) e il loro rapporto con le cosiddette onde S (seconde o di taglio). Questo metodo innovativo ha permesso di far luce sulle caratteristiche della velocità crostale fino alla profondità di 6 chilometri, dove le tradizionali tecniche linearizzate hanno sempre mostrato limiti di risoluzione. L’uso di questo metodo, inoltre, ha permesso di individuare per la prima volta tre principali zone di accumulo di materiale magmatico sotto l’area risorgente, corrispondenti alle sorgenti delle deformazioni bradisismiche. Mentre i serbatoi centrali, localizzati a 2,5 e 3,5 chilometri di profondità, rivelano un accumulo prevalente di fluidi in sovrapressione, il serbatoio più profondo, localizzato a 5 chilometri, mostra valori di velocità coerenti con un accumulo di magma.
L’evoluzione delle zone d’accumulo del magma
Importante elemento innovativo del metodo studiato è la possibilità di individuare le principali variazioni nel tempo delle anomalie di velocità e, quindi, dell'evoluzione delle zone di accumulo di materiale magmatico. Ciò è stato possibile grazie all’intuizione del team di ricercatori che ha sviluppato in maniera pionieristica il metodo di tomografia sismica in 4 dimensioni (spazio e tempo). I risultati mostrano che i due episodi analizzati di unrest del 1982-1984 e dal 2005 al 2022, seppur coinvolgendo volumi differenti, sono stati entrambi caratterizzati da episodi di risalita e di accumulo nella zona centrale prevalentemente di gas magmatici in sovrappressione e in profondità di magma, suggerendo che entrambi questi processi svolgono un ruolo importante nell’indurre l’unrest calderico.
Utile strumento di monitoraggio della caldera
Questo approccio può rivelarsi un utile strumento per monitorare nel tempo l’evoluzione del sistema di alimentazione magmatica della caldera e la volontà dei ricercatori è di estendere quanto prima il modello probabilistico anche agli anni successivi al 2022.
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