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Il presidente del distretto aerospaziale campano, Luigi Carrino
Luigi Carrino, presidente del Distretto aerospaziale della Campania, usa una metafora per far capire quello che sta succedendo nel settore aerospaziale italiano: “Stiamo vivendo una bella giornata di sole, ma domani il tempo peggiorerà e, se non compriamo in tempo l’ombrello, rischiamo di bagnarci”. Fuori dalla metafora, significa che il settore oggi è in salute: in Campania ci sono 69 unità produttive con un totale di 8.231 addetti, con un valore aggiunto di 880 milioni di euro, il 18% del totale nazionale. Vanno bene anche le cose sul fronte delle esportazioni, arrivate a 743 milioni di euro, in crescita del 2,4% nel primo semestre del 2024, in controtendenza con il dato nazionale che ha registrato un calo del 2,7% nello stesso periodo. In dieci anni il Distretto, con i suoi partner, ha sviluppato progetti per un valore complessivo di 300 milioni di euro.
Scusi, presidente, ma se i numeri sono questi, da dove nascono le preoccupazioni?
“Partiamo da un dato. Oggi non si può parlare, indistintamente, di settore aerospaziale. Da una parte c’è l’aeronautica, dall’altra lo spazio”.
Cominciamo dall’aeronautica, allora.
“Dopo il Covid è cresciuta nel mondo la voglia di viaggiare. L’aeronautica civile va bene. E la Campania ha un ruolo importante in questo settore, che è la spina dorsale dell’industria manifatturiera. Il problema è che, se non investiamo e non partecipiamo ai grandi programmi internazionali, rischiamo di essere tagliati fuori. A livello mondiale si sta lavorando intensamente ai velivoli di prossima generazione, che utilizzeranno propulsioni completamente diverse, come ad esempio l’idrogeno”.
E l’Italia?
“Il nostro Paese non ha un programma nazionale di aeronautica civile per sviluppare nuove tecnologie e nuovi aerei. Si è arrivati a scrivere il Pnrr senza mai utilizzare la parola ‘aeronautica’. Una follia. Solo in Campania, ad esempio, fra lavoratori diretti e indiretti sono impegnate 50mila persone, che arrivano a 100mila se aggiungiamo anche la Puglia”.
Passiamo all’industria dello spazio. Che cosa dobbiamo aspettarci?
“Anche qui il mercato è estremamente vivace. Ma, per tre aziende su quattro, si tratta di piccole o micro imprese. Abbiamo solo uno o due campioni nazionali. Le aziende più grandi sono localizzate fra Lazio, Piemonte e Lombardia. Quindi qualunque intervento che non sostenga PMI e start up rischia di tagliare fuori un intero comparto”.
Occorre un intervento pubblico?
“Sì, ma non penso assolutamente a interventi assistenziali. Abbiamo università e centri di ricerca di eccellenza. L’anno scorso una squadra di giovani della Federico II ha vinto un contest internazionale. Competenze che devono rimanere nella regione e dare un contributo allo sviluppo. Ma, per evitare la fuga di cervelli, occorre sostenere e far crescere le nostre piccole imprese”.
In Parlamento è già in discussione un disegno di legge proprio per sviluppare il settore spaziale...
“Non va nella direzione giusta. Nella sua versione attuale, prevede un aumento del numero dei passaggi autorizzativi ed è molto oneroso dal punto di vista economico, con la richiesta alle imprese di una polizza anti-rischi di dieci milioni, spesso superiore al fatturato della piccola azienda”.
Che cosa bisognerebbe fare?
“Sburocratizzare e semplificare gli iter autorizzativi, ridurre gli oneri economici e prevedere che una percentuale degli utili possa essere utilizzata come fondo di garanzia per start-up e ricerca”.
Nel Ddl è già previsto un fondo per lo sviluppo del settore. Non basta?
“Ha un grande limite: non considera le specificità dei territori, con il rischio concreto che le risorse siano dirette soprattutto al Nord. Occorre almeno prevedere una riserva di fondi per le aziende del Sud”.
“Certo, stanno cambiando le regole. Lo Spazio non è più un affare ‘pubblico’. Il volo dell’ultimo astronauta italiano è avvenuto con un ‘passaggio’ privato. L’Europa ha perso tempo, non ha lavorato in un clima di collaborazione, sono prevalsi atteggiamenti nazionalisti. Noi, che eravamo molto bravi nei lanciatori, siamo stati superati dai privati americani, che permettono di accedere allo spazio a costi più bassi. La rincorsa è molto difficile. Ma abbiamo ancora delle eccellenze. Non bisogna disperdere le competenze acquisite”.