Giovedì 10 Ottobre 2024
CEDITORIALI
Moda

Capo che compri taglia da indovinare…

Ti calza a pennello una S in un negozio e una L in un altro? La confusione nelle taglie, un problema per gli acquisti online e non solo

Una sarta prende le misure per un vestito

Una sarta prende le misure per un vestito

E tu che taglia hai? S, M, 40 o 38? Ma “italiana” o “europea”? Capita non di rado di avere nell'armadio due vestiti simili, ma le cui etichette riportano due taglie diverse, e non di un punto ma spesso anche di due o più. Per non parlare poi del comparto pantaloni e jeans: oltre che con la fatidica tabella di conversione delle taglie bisogna anche fare i conti con la concezione che un determinato brand ha della “S” o della “M”, della 25 o della 28... Succede così che vestiti di taglie molto diverse si adattino allo stesso corpo. Se dovessimo chiedere in giro tra amiche e amici che taglie portano, quasi tutti risponderanno che “dipende dal brand”. Una 34 da Cos, per esempio, è una M da Zara...: sapere di stare bene con una taglia S di un determinato brand non comporta affatto che in ogni negozio la nostra taglia sia quella. Cosa c’è dietro questa clamorosa confusione sulle taglie?

La confusione delle taglie negli acquisti online

La faccenda delle taglie diventa particolarmente spinosa con gli acquisti on line, visto che i capi si scelgono solo guardandoli e consultando le tabelle di conversione. Nel Regno Unito, per esempio, più di un quinto di tutti i vestiti acquistati online vengono rispediti e, secondo il British Fashion Council, la taglia o la vestibilità errate sono tra le principali ragioni dei resi (93%). Siccome quando si acquista online, non c'è modo di sapere se un capo andrà bene, si ha diritto a un rimborso e sarebbe auspicabile raggiungere maggiore chiarezza per rendere più lineari le esperienze di acquisto, ma anche di vendita. Quando i brand decidono le misure di riferimento dei capi che proporranno, lo fanno in base a un modello fisico che funge da manichino vivente durante il processo di progettazione dei capi e le varie misure vengono stabilite muovendosi in su e in giù rispetto ai parametri del modello. Il problema, allora, potrebbe stare nella scelta del modello di base: se un marchio mira, per esempio, ad attrarre gli adolescenti molto probabilmente il modello di base avrà una fisicità simile a quella più diffusa fra i giovani. Dunque, bisogna un po' studiare il target del brand per “indovinare” la propria taglia?

Unisize.net: la piattaforma per fare chiarezza per gli acquisti online

Per fare più chiarezza rispetto alle taglie riportate sulle etichette in modo da ridurre la percentuale di resi negli acquisti di abbigliamento online, Shingo Tsukamoto, presidente dell'azienda Makip, specializzata in tecnologia delle taglie, attraverso la piattaforma Unisize mira a fornire ai clienti dell'online parametri di riferimento per le taglie più accurati in modo da migliorare l'esperienza di acquisto. Makip, che attualmente collabora con oltre 250 siti di e-commerce e famosi marchi di moda giapponesi, punta a farsi strada anche Europa. Poiché non è possibile avere una taglia standard, visto che non esiste un corpo standard, la piattaforma è stata realizzata per elaborare le misure del corpo per ogni singolo cliente, in modo che quest'ultimo possa avere una rappresentazione altamente accurata e visiva di come gli articoli di abbigliamento che ha preso in considerazione potrebbero stargli addosso effettivamente.

La confusione sulle taglie ha conseguenze anche sulla percezione del proprio corpo

Se i “camerini digitali” - in cui gli utenti inseriscono altezza e peso e scelgono una forma del corpo (dalle illustrazioni) o inviano fotografie per trovare la taglia giusta - come il citato Unisize di Makip, o anche Virtusize, True Fit , rappresentano un'ottima possibilità per risolvere la questione dell'acquisto on line, resta aperta la questione relativa ai risvolti psicologici di questa “confusione” delle taglie. Se in generale, i modelli di fisicità cambiano nel tempo (dagli anni '60 a oggi l'ideale fisico è notevolmente mutato), a ciò si aggiunge che nell'ultimo decennio il confine fra maschile e femminile si è fatto via via sempre più labile con l'aumento di capi di abbigliamento genderless e unisex. Il che è in linea coi tempi se consideriamo il fenomeno dal punto di vista del design degli abiti, ma non lo è se guardiamo al lato “pratico” delle taglie e della vestibilità. Le taglie vaghe sono, per esempio, un must per rivenditori come Uniqlo e Asos che optano per le etichette S, M e L, ed è complesso in fase di acquisto scegliere la taglia “giusta”. Ci sono poi brand che abbracciano l'ideale del “vanity sizing” proponendo, per esempio, delle “S” su capi che altrove verrebbero etichettati con una “M”, questo per appagare il desiderio del cliente di vestire taglie “inferiori” a quelle che indossa solitamente. Le taglie degli abiti differiscono non solo da brand a brand ma anche a livello internazionale: di fatto gli abiti possono apparire più grandi o più piccoli a seconda di dove vengono venduti prevalentemente. "Un marchio globale avrà generalmente dimensioni diverse a seconda della regione target", afferma sempre Shingo Tsukamoto di Makip. Non conoscere con chiarezza la propria taglia risulta in questo modo dispendioso in termini di tempo e anche scoraggiante.

La soluzione è il capo confezionato "su misura"?

Sui social continuano a crescere lamentele e critiche per le discrepanze di taglia fra i brand e per la delusione che ciò può causare a livello psicologico. Questa confusione, infatti, “mina un senso già confuso del nostro corpo", ha affermato la psicoterapeuta britannica Susie Orbach, che ha scoperto che la taglia dei suoi vestiti può variare da una 2 a una 12 (UK). "Se fossimo a nostro agio nel nostro corpo, sarebbe semplicemente un inconveniente, ma poiché l’industria della moda contribuisce ad alimentare l’insicurezza verso il proprio corpo, si può ben comprendere come questa confusione possa creare danni” sottolinea la Orbach. Anche Heather Radke, autrice di “Butts: A Backstory”, è d'accordo: “Molti di noi pensano che dovremmo adattarci ai vestiti, piuttosto che avere i vestiti che ci stanno bene. Quasi tutti quelli con cui ho parlato hanno detto che finiscono per sentirsi una specie di corpo sbagliato'. La soluzione? Alcuni marchi optano per la “taglia unica”. Lo specialista di costumi da bagno Hunza G afferma che chiunque, dalla taglia 6 alla 16 del Regno Unito, può indossare i suoi articoli. Questo, ovviamente, è più semplice con i tessuti elastici usati comunemente nell'abbigliamento sportivo e nei costumi da bagno meno praticabile con tutti gli altri capi (pensiamo ai pantaloni!). Un'altra soluzione potrebbe essere il “dimensionamento” universale: uno standard industriale a cui tutti i marchi dovrebbero conformarsi. Ma questo è impossibile, perché anche due persone con la stessa taglia avranno due forme fisiche differenti, e quindi in base a cosa potrebbe crearsi uno standard universale? Si finirebbe per mortificare la complessità delle variazioni culturali e regionali nei tipi di corporatura e nelle preferenze. C'è un'altra opzione: acquistare su misura, o farsi aggiustare abiti preconfezionati da un sarto locale. L'opzione degli abiti “su misura” apparirebbe quindi la migliore, ma significherebbe acquistare molti meno vestiti e quanti di noi sono davvero disposti a rivoluzionare in questo senso il rapporto con i vestiti e con l'esperienza di shopping? Conoscere le misure del proprio corpo, e non la dimensione vaga di esso, può essere di grande aiuto anche con gli acquisti online (basterà chiedere, per esempio, le misure in centimetri del giromanica o del girovita...). Anche qui, allora, una maggiore consapevolezza di sé e del proprio corpo appare l'opzione migliore.