Lunedì 10 Febbraio 2025
LUCA
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Zombi d’autore. I morti viventi nella cultura pop

A Parigi una mostra fra cinema, arte e ritualità. Le origini ad Haiti e la continua rivisitazione.

Dettaglio di una delle opere in mostra Musée du Quai Branly a Parigi

Dettaglio di una delle opere in mostra Musée du Quai Branly a Parigi

di Luca ScarliniLa cultura pop li ha sdoganati a partire dal film-capolavoro di David George Romero La notte dei morti viventi (1968). Da allora si sono sprecate le metafore, connesse al mondo della tossicodipendenza (come alludeva una famosa canzone dei Cranberries) o a altre forme di disagio sociale, senza escludere la parodia e la satira politica. Una magnifica mostra al Musée du Quai Branly a Parigi Zombis: la mort n’est pas une fin? (a cura di Philippe Charlier, fino al 16) fa il punto in modo definitivo sul tema, a partire dall’antropologia. Il luogo di origine di questa figura, così centrale per il nostro immaginario oggi. Non si contano serie e film, presentate in estratto in una apposita sala-cinema, con opere magnifiche come White zombies di Bela Lugosi, Il serpente e l’arcobaleno di Wes Craven e il recente e inquietante Zombi child di Bertrand Bonello, numerosi sono i fumetti, i romanzi.

Tutto inizia ad Haiti, dove la cultura sincretica degli schiavi mischia in modo esplosivo riferimento africani e europei, creando la religione del voodoo, di cui l’esposizione presenta feticci e strumenti, ricreando anche il patio in cui si tengono i riti. Inquietantissimi sono gli idoli della setta Bizango, statue piene di specchi, che celano un teschio umano. Numerose le bambole o gli oggetti antropomorfi, trafitti di chiodi e spilli, per ottenere il male o la morte dei propri nemici.

I riti vogliono spesso esercitare una giustizia per via magica: la zombificazione è una sentenza inflitta per punire, ma è anche arma per eliminare una persona sgradita. Tra i materiali documentari colpisce la presenza di Clairvius Narcisse, sepolto, esumato, vissuto come schiavo morto nelle piantagioni e poi liberato da una rivolta contro il Bokor, ossia il mago-padrone.

Il cimitero di Port-au-Prince, trafficatissimo incrocio di riti e magie ogni notte, è il luogo in cui si celebrano riti oscuri, che continuano ancora oggi. In varie comunità rurali, le persone preferivano inumare i loro cari in mezzo alla strada, per evitare furti e profanazioni. Il voodoo e gli zombi sono incrociati in modo fortissimo alla vicenda politica dell’isola: la mostra ricostruisce come la cerimonia del Bois-Caïman, tenuta dalla sacerdotessa-mambo Cécile Fatinam dette il via alla rivoluzione nel 1791. Il tiranno François Duvalier usa questi riti come strumento di controllo e terrore, utilizzando la sua polizia segreta (di cui facevano parte rinomati stregoni) che si chiamava tonton macoute.

Tra rito, cronaca e mito, la mostra espone numerosi quadri di pittori haitiani, che illustrano una continua sfida alle leggi e ai limiti dell’esistenza. La mostra sottolinea come lo zombie sia metafora dello schiavo, tenuto prigioniero da padroni crudeli, privato dell’anima da punizioni continue. La mostra parigina illustra benissimo connessioni dell’immaginario che sono attualissime e che restano inquietanti. Molti sono stati attratti nel Novecento dal voodoo, magnifico il libro della scrittrice- antropologa Zora Neal Hurston Tell my horse, immersione in una Haiti spaventosa e bellissima.