Lunedì 23 Dicembre 2024
ANDREA BONZI
Magazine

L’uomo che creò Wonder Woman. Ma voleva solo donne sottomesse

Marston, papà della supereroina, aveva una doppia vita: fu poligamo

Gal Gadot, Wonder Woman più attuale. A destra William Moulton Marston con la moglie

Bologna, 27 giugno 2017 - PSICOLOGO, inventore e fumettista. Ossessionato dalla verità – costruì il poligrafo detto, appunto, macchina della verità –, ma guidato dalle passioni che lo portarono a vivere, di fatto, una doppia vita. Un personaggio complesso, quello di William Moulton Marston, creatore di Wonder Woman nel 1941. E mentre l’eroina impazza sugli schermi di tutto il mondo, rastrellando camionate di dollari di incassi, proprio sul creatore dell’amazzone è incentrato un film che sarà distribuito negli Usa entro la fine dell’anno, «Professor Marston & the Wonder Women», diretto da Angela Robinson.

«Women», al plurale. Perché Marston, classe 1893, laureato ad Harvard e convintamente femminista, fu segretamente poligamo. Viveva – come ha raccontato la storica premio Pulitzer, Jill Lepore, nel volume «The secret history di Wonder Woman» – con due donne: la moglie ‘ufficiale’ Elizabeth Holloway fu costretta, infatti, ad accogliere l’amante di lui, Olive Byrne, sua assistente, presentata all’esterno come una parente. In pratica, Marston mise la donna di fronte a una scelta: o accetti Olive, o te ne vai. I tre, da quel momento, vissero come una famiglia allargata. Marston ebbe figli da entrambe, ma a quelli di Olive fu detto per lungo tempo che il padre era morto. Una situazione scandalosa per l’epoca, ma anche un inganno piuttosto ipocrita per un uomo che credeva nel potere della verità, tanto da dare alla sua Wonder Woman un lazo magico capace di impedire a chi vi è avvinto di dire menzogne.

Dunque, Olive e Elizabeth (che continuarono a vivere insieme anche dopo la morte dell’uomo), erano, per certi versi, superdonne (la moglie, per dire, divenne redattore capo dell’Enciclopedia Britannica), ma anche sottomesse al fascino del loro comune consorte. Un’apparente contraddizione che subisce anche Wonder Woman. L’amazzone, infatti, è l’incarnazione delle convinzioni di Marston. Lo psicologo, infatti, teorizzava l’intrinseca superiorità mentale delle donne rispetto agli uomini. Non è un caso che, soprattutto nei primi episodi scritti da Marston e disegnati da H.G. Peter, Wonder Woman si ritrova spesso legata in catene.

Da un lato, dunque, Marston dava libero sfogo alle sue fantasie di bondage, attraverso le quali voleva sollecitare l’interesse dei lettori a quella che chiamava «sottomissione per amore» (riscuotendo un immediato successo); dall’altro la simbologia della catena si rifaceva alla lotta femminista: Wonder Woman era la donna che si liberava dalle costrizioni della società patriarcale. Nei fumetti che scrisse fino quasi alla morte, avvenuta nel 1947, Wonder Woman non era solo portatrice di pace e amore, ma metteva alla prova le sue abilità, fisiche e mentali. «Voglio mostrare alle ragazze che possono fare tutto», diceva Marston ai suoi editori. A vedere Gal Gadot sul grande schermo che riporta la pace al fronte, pare proprio che, almeno in questo, ci sia riuscito.