Yendry ha vissuto i primi quattro anni di vita a Santo Domingo dove sono nati i suoi genitori. Ma il padre ’vero’, un angelo di nome Mario, come lei stessa lo definisce, l’ha incontrato a Torino dove è stata adottata e dov’è cresciuta insieme alla mamma biologica e ai due fratelli che la donna ha avuto, appunto, da Mario Fiorentino. "Ma a loro l’ho detto io che ero stata adottata, perché nessuno, vedendo e conoscendo la nostra famiglia, si è mai accorto che non esistevano legami di sangue tra noi. Piuttosto non è stato semplice farsi accettare da Villafranca, il paese dell’hinterland torinese dove ho frequentato fino alla seconda media prima di essere costretta a trasferirmi in una classe di Pinerolo che, essendo una cittadina più grande, aveva meno pregiudizi verso il mio colore di pelle e i ricci dei miei capelli".
Adesso, trentenne, a Torino torna però solo per trovare i genitori perchè da qualche mese la sua base fissa è Los Angeles dove convive con un collega della scena indie locale e i palchi sono quelli di tutto il mondo (a inizio novembre il tour ha toccato Berlino). In Italia il suo debutto live avverrà il 25 sera alla Torneria Tortona nel corso della Milano Music Week che dal 20 al 26 ospiterà panel sul music business, talk con gli artisti (Yendry racconterà la sua ascesa internazionale alle 16,15 sempre del 25 in un incontro intitolato ’Becoming the next big thing - Come Yendry ha scalato le classifiche internazionali’), workshop, dj set, showcase, party e un’area coworking aperta tutto il giorno.
La passione per la musica nasce in famiglia?
"Ne abbiamo sempre ascoltata molta, ma per nessuno è mai stata una professione. Verso i 16-17 anni ho realizzato che cantare mi piaceva molto e molti mi chiedevano di farlo".
“X Factor“ è stato il trampolino di lancio?
"Per me no, l’ho preso come un gioco, anche perché mi ha iscritta un’amica che voleva fare un duetto, solo che hanno preso solo me. Però l’esperienza tv mi ha fatto capire che potevo scegliere questa strada come professione. Può essere utile a chi sa già cosa vuole, a chi ha un bagaglio musicale già abbastanza completo. Io non sapevo ancora chi ero come artista".
Quando si è accesa la luce?
"Tornando alle radici, a Santo Domingo, cominciando a scrivere testi in spagnolo, lavorando su me stessa, dopo che avevo fatto parte di gruppi jazz e della scena elettronica".
Adesso perà la fama è più internazionale che nazionale...
"Sia per chi comincia da casa e fa il salto all’estero che chi da fuori vuole farsi strada in patria il cammino è difficile. Il mio seguito di fan è sparso in tanti Paesi tra Messico, America, Europa e ciò comporta voli più lunghi, una gestione delle spese più complicata. In Italia ho avuto una fama effimera legata al talent e non a me come artista. Inizio adesso a costruirmi in maniera più solida. Dopo aver aperto il concerto di Rosalia, farò a Milano il primo live in Italia".
Come sarà concepito?
"In questo tour prevale la dimensione intima. Cerco di essere sempre onesta col mio pubblico e voglio farmi conoscere per quella che sono. Quindi chiacchiero come l’avessi invitato in un mio salotto. Da Milano mi aspetto proprio questo, che le persone imparino a conoscermi".
E ’Ya’ com’è finita nella playlist preferita di Barak Obama?
"E’ nata durante il lockdown a Torino quando nessuno capiva bene cosa ci stava succedendo. Dal viaggiare sette giorni su sette, mi sono ritrovata con tanto tempo da gestire. ’Ya’ parla proprio di questo fuoco che arde dentro e non si riesce a tirare fuori magari parlando con chi ti sta accanto. Per me è stata una vera terapia".
La Milano Music Week vuole anche essere un’occasione d’incontri e approfondimenti per i giovani che vogliono intraprendere la carriera. Che consigli darebbe personalmente?
"Ho iniziato undici anni fa ma la carriera ha preso slancio solo negli ultimi tre o quattro quando ho trovato il mio spazio interiore. Ecco, il punto di forza su cui imperniare il proprio futuro è proprio individuare il range vocale, aderire a progetti che appartengono alla propria essenza. Spesso con le donne accade che ti indirizzino più come look che non a mettere a fuoco che cosa ti piace fare".
Soffre di ansia da prestazione?
"No, sul palco sono a mio agio, piuttosto sto avvertendo la pressione nel preparare il primo album che resterà come mia testimonianza e in cui parlo di ciò che mi sta a cuore: il disagio di chi non si sente di appartenere pienamente a una cultura e resta nel limbo tra due mondi".
Lorella Bolelli